11 giugno 2015 - 21° anniversario della mia Ordinazione Presbiterale


Barnaba è chiamato apostolo, come coloro che hanno vissuto con Gesù.
È una delle figure più importanti della prima comunità cristiana. Era un uomo che aveva scelto di vivere il Vangelo in maniera autentica. Aveva preso i suoi averi, li aveva venduti e aveva posto ai piedi della comunità degli apostoli – di Pietro e degli altri – tutto ciò che aveva ricavato da quella vendita. Aveva compreso, e di conseguenza vissuto, quella parola: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Abbiamo intuito davvero come fosse possibile vivere bene all’interno di una comunità cristiana, che si prende cura di te, die tuoi bisogno, delle tue necessità.
Barnaba è stato colui che ha creduto in Paolo e nella sua conversione; l’ha presentato alla comunità dei 12 ed è andato a riprenderlo a Tarso, dopo tre anni e lo ha accompagnato nel pellegrinare e nel fondare le nuove comunità cristiane. È stato un uomo che ha saputo valorizzare i giovani e a motivo di questo si è diviso da Paolo. È un uomo che ha dato la vita per il Vangelo. Secondo la tradizione, tutto questi grandi uomini del Vangelo fedeli fino al dono del sangue per comunicare la vicinanza della venuta del Regno di Dio.
Il suo soprannome è figlio dell’esortazione: uno che continua a incoraggiare, che continua ad agire con il cuore e insegna ad altri a farlo. Io sono contento di essere stato ordinato in questo giorno: Barnaba mi ha sempre accompagnato in questi anni. Credo che tutti abbiamo bisogno di qualche Barnaba nella nostra vita, di qualcuno che ci incoraggi, che ci aiuti a vedere il bene che c’è, qualcuno che abbia sempre una riserva non di ottimismo ma di sguardo capace di leggere la realtà con gli occhi di Dio.
Quanti Barnaba ci sono tra noi! Quanto ne abbiamo bisogno!
Spesso possiamo cedere anche noi, che siamo cristiani, alla tentazione della lamentela, alla severità dei giudizi che non lasciano spazio a nessuna replica; possiamo correre anche noi il rischio di pensare che guardando a quello che manca saremo sempre alla ricerca di un compimento. Invece, coloro che continuano a esortarci alla comunione, alla condivisione, allo sguardo positivo sulla realtà, all’assenza di giudizio nei confronti di chi sbaglia, a una carità che è concreta, a un perdono che è sincero, questi sono uomini che creano realmente il Regno di Dio tra noi, non lo rimandano ma fanno in modo che sia presente nelle nostre comunità grandi o piccole che siano, più o meno unite da tradizioni o da condivisioni perché l’unica realtà buona e certa è che siamo cristiani. Questo dovrebbe essere più forte di qualsiasi divisione, tanto che questa esperienza di Cristo può accumunarci con persone completamente diverse da noi per lingua, per provenienza, per colore della pelle, per come mangiano, per come guardano il cielo, per come guardano il proprio corpo Noi dovremmo essere sempre più stupiti che ciò che ci accomuna è Gesù Cristo, più di ogni altra esperienza.
Il pensiero che voglio consegnarvi è proprio questo: abbiamo bisogno di tanti figli dell’esortazione, di tante persone che ci incoraggino a creare comunione e dovremmo avere più il coraggio di non ascoltare chi invece dice una parola di divisione, dovremmo avere più il coraggio di stare di fronte a chi divide con la forza di annunciare sempre strade nuove.
Il pensiero va sicuramente a Gregorio e ai diaconi, perché siano uomini dell’esortazione, uomini che sappiamo incoraggiare, che sappiano guardare sempre alla realtà con gli occhi di Dio, che sappiano vedere nel seme già il frutto. Senza uomini così siamo destinati ad essere tristi. Abbiamo bisogno che questi uomini non siano solamente nella Chiesa, ma anche nella società civile, anche in questi tempi nel quale ci viene consegnato sempre il marcio.
C’è una frase che mmi accompagna sempre e che ho letto quando ero ancora adolescente ad Arese. I salesiani lì hanno costruito un grande luogo di accoglienza dei ragazzi più difficili, i Barabit: su un cartellone c’era una mela marcia e sotto una frase “Mi hanno detto che sono una mela marcia, ma anche le mele marce hanno i semi buoni”. Il primo pensiero è proprio questo: noi tutti, cristiani, abbiamo il compito di essere figli dell’esortazione. Così potremmo aiutare i pastori, i sacerdoti nell’essere più fortemente, più caparbiamente, nonostante i loro limiti e le loro fatiche.
Il secondo pensiero viene dal fatto che dopo la salita alla cattedra di Pietro di Papa Francesco, tutti guardano a lui come colui che porterà la Chiesa ad essere più povera, più vicina ai poveri. Questo sicuramente è un segno positivo; tuttavia credo che come cristiani abbiamo il dovere di domandarci davvero che cosa vogliamo dai pastori della Chiesa. In realtà il Vangelo non è solamente dalla parte dei poveri ma è dalla parte di tutti gli uomini e c’è una povertà materiale, certo evidente, che apre in questi giorni il dibattito, a volte davvero faticoso da comprendere, di continui rimpalli di giudizi, di parole dette senza pensare senza aver condiviso nulla della miseria dell’uomo.
Non c’è solamente una miseria del corpo, una mancanza di cibo; ogni giorno siamo di fronte alla provocazione di come la mancanza di cura dell’umano porta gli uomini a fare delle scelte che non sono solo contro Dio ma contro l’uomo. Noi abbiamo imparato che il Dio di Gesù Cristo, portando dentro di sé il Divino e l’umano, ci insegna che essere suoi discepoli significa essere fedeli all’uomo e a Dio senza differenza; che non si può insultare Dio senza insultare l’uomo, e non si può insultare l’uomo senza insultare Dio. Noi abbiamo bisogno certamente di presbiteri, di Vescovi, di Cardinali più poveri, uomini più capaci di avere una ricchezza spirituale da offrire che non altro, ma abbiamo tutti il compito di metterci dalla parte dell’uomo. Il Vangelo ci dice che coloro che sono ministri del Vangelo sono chiamati a predicare avendo fiducia unicamente nella forza di quella Parola. Non si compra nulla. La libertà degli uomini non si compra. C’è però la responsabilità di tutta la comunità non solo di sostenere la vita del presbitero, del vescovo, del cardinale ma di farsi carico, nella condivisione e nell’accoglienza, dei bisogni di tutti. Un Papa che vuole essere povero non è solamente un fascino che deve dire ai preti come comportarsi; una Papa che vuole essere povero e che chiede una chiesa povera è provocazione per tutti a vivere in modo nuovo il Vangelo. Il Papa va ascoltato sempre, non solo quando ci fa comodo, non solo quando dice cose che ci piacciono: questo stile lo lasciamo agli intellettuali, a coloro che ragionano secondo schemi. Noi ragioniamo dal Vangelo e accogliamo la Parola dei ministri della Chiesa nella loro totalità. Possiamo essere critici, possiamo far fatica ad accogliere ma non possiamo chiudere la porta del cuore. È questo il secondo pensiero che porto nel cuore, per me e per voi: Barnaba è stato un uomo della Chiesa, un uomo che ha costruito comunità, comunione, che nel momento in cui la Chiesa sembrava prendere una strada strana nei confronti di coloro che venivano dal paganesimo, lui ha detto semplicemente “Lo Spirito Santo agisce nel cuore di ogni uomo. È lui l’artefice della conversione del cuore”. Noi non possiamo chiudere la porta del nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che incontrano Cristo. Oggi Barnaba ci insegna ad essere di più uomini di Chiesa e la Chiesa non è la sua gerarchia. La Chiesa è il popolo di Dio e noi ne siamo parte e dovremmo esserne orgogliosi.
Preghiamo per i nostri diaconi, per Gregorio, perché siano sempre più lieti di appartenere a un popolo, di non essere battitori liberi, di non essere uomini che pensano di fare tutto da soli.
Infine, un ultimo pensiero che riguarda proprio questo giorno del mio anniversario. Non ci tengo a festeggiarlo in modo pomposo, però è un giorno importante e mi domandavo Che cos’è cambiato dall’anno scorso ad oggi? Certo, sono passati 12 mesi in più da parroco e non significa che io abbia imparato a fare il parroco o ad essere un buon parroco, anzi è più possibile che gli errori si siano anche moltiplicati. D’altra parte è sempre un po’ così; poi c’è sempre chi ti fa qualche sconto perché hai 3 parrocchie e corri sempre come una trottola e sembra di non essere il parroco di nessuno. È anche vero che questi mesi sono serviti a conoscerci di più, a creare relazioni buone, ad accompagnare percorsi, ad accogliere fatiche, a superarle…
Ciò che cambia di più per la mia vita è che è primo anniversario senza il Mio Papà. In questi 21 anni – per lui 20 – lui c’è sempre stato. Veniva in tutti gli incontri che facevamo come compagni, spesso i miei genitori erano tra i pochissimi genitori che partecipavano a quell’incontro. Questa cambia e chi di voi ha perso un affetto lo sa bene; ma quando uno vive e condivide l’esperienza del presbiterato così fortemente con la propria famiglia, senza esserne condizionato ma potendo avere sempre un aiuto forte, questo ti cambia. Non è questione di accompagnare a casa la Mamma o andarla a prendere. È questione che manchi anche qualcuno che semplicemente ti invita a riposare oppure anticipa quello che avresti dovuto fare tu per lasciarti qualche minuto libero. Io sono grato al Signore per questo percorso di vita, che non è sempre stato facilissimo non perché abbia dovuto affrontare situazioni limite, come si pensa a volte quando si è esposti a grandi problematiche, perché in realtà – e Gesù ce lo insegna – la quotidianità è ciò che trasforma il cuore, la fedeltà è ciò che lo rende tenace, la pazienza è ciò che lo rende forte, la fatica è ciò che lo rende docile. Sono lieto di questo percorso e oggi rinnovo la mia gratitudine per la mia famiglia e per questa famiglia che sempre di più si allarga e che siete voi. Oggi sono lieto perché ancora, come lo scorso anno, c’è la Mia Mamma, i miei fratelli, il 50% dei miei nipoti e vi invito a ringraziare il Signore perché senza di loro non sarei come sono ora.

Chiediamo al Signore di essere uomini e donne che sanno incoraggiare, uomini e donne orgogliosi di essere cristiani in questa Chiesa, e uomini e donne che sanno essere grati per coloro che ci sono posti accanto e che ci aiutano a diventare grandi e cristiani.

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