28 giugno 2015 - V domenica dopo Pentecoste


Abramo è considerato padre nella fede non solo dai cristiani ma anche dal popolo ebraico e dal popolo islamico. Questo ci suggerisce una riflessione a partire dal fatto che le prime due letture hanno al centro Abramo, per poi comprendere la sua fede alla luce della rivelazione di Gesù come luce che risplende nelle tenebre, che ha il desiderio di dare la vita a ogni uomo.
Ad Abramo è attribuito il grande merito di essere padre nella fede perché ad un certo punto della sua vita, una vita benedetta – era un uomo ricco, aveva tante greggi, armenti. Era un nomade ma aveva costruito una grande ricchezza -, si pone questa domanda: “Ma è possibile che ci debba essere un dio per ogni evento della vita, per ogni bisogno, per ogni circostanza? Non è forse vero che c’è un Dio unico, un Dio solo al quale chiedere aiuto, al quale chiedere senso di tutta l’esistenza?”.
Questa fede di Abramo, all’origine di una moltitudine di uomini e donne che si sono posti la domanda sul Dio unico, è il cuore dell’esperienza della fede di tutti coloro che si riconoscono credenti in un unico Dio. Paolo ci dice che Abramo non è grande perché ha obbedito a dei precetti, non è grande perché ha avuto il dono di un’alleanza che lo costringesse a obbedire. Abramo è grande perché ha avuto fiducia prima, prima della Vergine, prima della Circoncisione, prima di qualsiasi altro segno.
È stato possibile per lui fare questo passo perché ha custodito uno dei fondamenti dell’esperienza di fede, una delle condizioni più essenziali della fede: l’ascolto.
Nel linguaggio biblico ascoltare non è semplicemente porre attenzione a qualcuno (che è già molto), ma chiede due disponibilità: innanzitutto, aprire il cuore, accettare cioè di non essere sufficienti noi a noi stessi, di avere bisogno umilmente, di accogliere una parola che mi guidi, mi accompagni; nella scrittura poi diciamo lampada ai miei passi è la tua parola, luce per il mio cammino. Il secondo elemento legato all’ascolto è quello dell’agire: non basta ascoltare, aprire il cuore, bisogna poi che quella parola diventi azione, gesto concreto. Anche Gesù dice che non è sufficiente ascoltare, dire “Signore, Signore”, ma è “beato chi ascolta la parola di Dio e la mette in pratica”. Abramo ha vissuto così: ha ascoltato, ha aperto il cuore, si è posto delle domande autentiche e poi ha agito, ha lasciato la sua terra, ha percorso un lungo cammino senza conoscere la meta ma ha posto unicamente fiducia in Dio. Per questo è padre nella fede.
La sua figura ci chiede allora di domandarci cosa ne facciamo noi dell’ascolto: siamo uomini e donne che dedicano tempo ad ascoltare la parola di Dio che ogni giorno ci può accompagnare? La Bibbia è parola che è accessibile a tutti, ma chiede tempo, cura, attenzione: quale spazio do all’ascolto? Di conseguenza, la mia vita è mossa dalla Scrittura, dal Vangelo nelle scelte, nei pensieri, nei desideri? Le mie parole nascono come conseguenza di un ascolto? Questo è il fondamento dell’esperienza della fede e solo questo ci permette di accogliere Gesù come luce del mondo.
Giovanni dice: “I giudei hanno visto i segni compiuti da Gesù, hanno ascoltato le sue parole ma non gli hanno creduto” e Gesù ogni volta che comprendeva che non c’era la possibilità di un dialogo non si metteva ad alzare la voce, a lamentarsi, a protestare: ne se andava, lasciava che loro potessero ripensare a quanto avevano visto e udito nella speranza che comprendessero finalmente che quella parola era nuova, che quel messaggio era autentico.
Anche noi ci domandiamo: quanto crediamo che Gesù sia luce nella mia strada, nel mio cammino? Quanto crediamo nella forza, nella potenza della parola di Gesù? Quanto preghiamo, crediamo veramente che sia possibile che accada quello che chiediamo? Oppure a volte preghiamo ma tanto non succede mai nulla, tanto le cose vanno sempre nello stesso modo….
Oggi vogliamo chiedere al Signore che in noi si radichi la fede di Abramo che Paolo dice “è grande non perché ha obbedito a delle leggi, non perché ha compiuto dei riti, ma perché prima ha posto la sua fiducia in Dio”, si è messo in ricerca, si è fatto delle domande, non si è accontentato di risposte superficiali, ha continuato a scavare dentro di sé alla ricerca di una risposta che poi non ha trovato dentro di sé ma in uno sguardo aperto al Cielo.
Oggi viviamo il giorno chiamato “della carità del Papa”, l’ovulo di san Pietro. Spesso intorno alla Chiesa, soprattutto al Vaticano, si crea tanta chiacchiera anche tra noi cristiani. Anche noi ci troviamo a volte, un po’ banalmente, ad assecondare discorsi di basso profilo. Ogni tanto poi qualche piccolo scandalo emerge ad arte per insinuare dubbi, per velare l’operato del Papa, dei suoi collaboratori.
Oggi questo gesto che noi compiamo è legato alla comunione tra tutti coloro che credono che solamente nella solidarietà, nella condivisione, nella carità concreta si può rivelare un vangelo che cambia l’umanità. Allora ciascuno di noi è libero di porre questo gesto, ma è necessario che tutti noi facciamo memoria sempre di che cosa significhi vivere il cristianesimo anche in ordine a questo modo semplice che è quello di contribuire, in modo segreto. Non viene mai detto in maniera eclatante come il Papa spenda il denaro per i poveri.
Tuttavia dovremmo avere più occhi aperti, uno sguardo più ampio, anche in ordine a ciò che sta avvenendo adesso con queste forti immigrazioni da parte di uomini e donne che vengono dal Medio Oriente o dall’Africa: se davvero le comunità cristiane, la Chiesa che non è il Papa, i Vescovi o il Vaticano, se davvero la Chiesa smettesse di mettersi al servizio dei più poveri forse vivremmo momenti di grande fatica a livello civile e non solo religioso.

Per tanto in questo gesto c’è la disponibilità a fidarsi non tanto e solo della figura di Papa Francesco perché magari più popolare o affascinante, ma perché crediamo che da sempre il desiderio della Chiesa è mostrare che questo Vangelo centra con tutta la vita, “con tutto l’umano” (cfr. Angelo Scola). Allora anche nella disponibilità di questo gesto noi diciamo la nostra fede e diciamo che crediamo che la nostra vita possa essere illuminata dal Vangelo anche quando poniamo un piccolo gesto di carità, sapendo che questo alimenta la speranza, ci fa guardare lontano, ci libera da quella paura che anche in questi giorni è stata alimentata da tutte le notizie negative che sono venute in relazione degli attentati ultimi. Noi siamo di Cristo: non abbiamo paura perché Gesù è vittoria sulla morte, perché Dio è guida della storia e noi crediamo che ogni gesto d’amore è anticipazione della vita eterna. Così coltiviamo la speranza, così cresce la fiducia e così diventa concreta la carità.

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