31 agosto 2015 - Al termine del viaggio in Bulgaria
Ripropongo il testo dell'omelia della messa celebrata al termine del viaggio-pellegrinaggio in Bulgaria.
Raccolgo
attorno ad alcuni episodi, ad alcune parole queste giornate proprio come faccio
normalmente con i ragazzi al termine della vacanza comunitaria quando ci troviamo
insieme e condividiamo, cioè ciascuno dice quello che sente essere più
importante per sé.
Provo
così a dire alcune parole che non possono esaurire tutto quello che c’è stato
ma vogliono essere un tentativo di raccogliere, come si fa al termine di ogni
percorso, qualcosa di buono, piccoli segni che potrebbero essere utili
tornandoci con il pensiero.
La
prima parola che vorrei custodire nasce proprio da questo brano della lettera
di San Giovanni apostolo in cui dice: “noi
abbiamo veduto con i nostri occhi e per questo lo raccontiamo perché voi siate
in comunione con noi”. Certamente quello che Giovanni dice è riferito a
Gesù, a quello che lui ha visto e racconta perché la comunità che lo ascolta
possa crescere nella comunione con lui. Ma noi sappiamo bene che c’è una
comunione che cresce nel celebrare insieme. La prima parola, allora, che vorrei
custodire è celebrare: abbiamo
celebrato insieme, non sempre in luoghi favorevoli ma che abbiamo reso
favorevoli attraverso la nostra presenza. Abbiamo vissuto anche esperienze
particolari: le nostre celebrazioni, quelle che abbiamo vissuto qui insieme, un
po’ nell’intimità di questi luoghi che normalmente sono deputati ad altri;
celebrazioni poi importanti, come quella con il Vescovo – provvidenzialmente
siamo venuti qui nel giorno in cui era la festa di San Luigi dei Francesi;
oppure ieri, l’accoglienza dei frati cappuccini e in particolare di Padre
Martin, che ci ha permesso di celebrare insieme. Tutti abbiamo notato come, sia
nella messa con il Vescovo sia ieri, la nostra presenza è stata determinante a
dare consistenza all’assemblea.
Celebrare
insieme e riscoprire che solamente il Signore fa comunione, che solamente il
Signore ci accomuna, così diversi come siamo e solamente Lui è capace di
trovare strade sempre nuove di dialogo, di accoglienza, di disponibilità. Tutte
le volte che noi invece poniamo una parola di chiusura, diciamo che
l’Eucaristia per noi non è ancora vera.
Abbiamo
celebrato con il Vescovo, con la comunità di Sofia, abbiamo cercato di entrare
nella vita di questa comunità anche vedendo altre celebrazioni - i battesimi,
l’inizio della celebrazione del Patriarca - scoprendo una differenza certo
culturale legata alla storia, che ci dice che alcuni luoghi non ci parlano
immediatamente anche se ci affascinano per la ricchezza che hanno e per le
persone che vi si recano.
Celebrare:
è importante questa parola perché si può celebrare
la vita, che non significa che bisogna pregare tutti i momenti ma che la
preghiera non è tutto ma tutto passa e inizia dalla preghiera. Vi invito,
dunque, a celebrare la vita. Nei momenti della comunità cristiana e nella vita
quotidiana: ci sono momenti da celebrare lieti, altri più dolorosi. Possiamo
così celebrare rapporti nuovi che abbiamo iniziato, qualche disponibilità che
abbiamo creato, qualche dialogo che ci ha permesso di accorciare qualche
distanza e che ci ha permesso di conoscere qualcuno in modo nuovo.
La
seconda parola che vorrei donarvi è allegria.
Ho sentito tante risate, tanta allegria. Questa è un antidoto alla fatica, a
qualche disagio, a qualche imprevisto. Allegria, che non è uno spot
pubblicitario, che non è semplicemente darsi una pacca sulla spalla, ma vivere
nell’allegria, nella gioia è un atteggiamento che permette di affrontare anche
gli ostacoli più grandi sapendo che, certo, si farà fatica, che non sarà tutto
come avremmo voluto, ma una soluzione la si può trovare sempre.
Forse,
ancora di più, dietro quest’allegria che è evidente, c’è una parola più
profonda che lascia spazio a qualche momento in cui si può essere un po’ con il
volto velato, triste: è la parola serenità.
Essere sereni non vuol dire ridere sempre, ma custodire nel cuore un
atteggiamento di chi dice “la vita è
bella perché possiamo viverla pienamente” e in questi giorni credo che
abbiamo imparato tanto gli uni dagl’altri. Abbiamo imparato dalla giovinezza di
Anna, da Francesca, abbiamo imparato dai più anziani che ci hanno mostrato una
vitalità che davvero è entusiasmante, e abbiamo imparato da alcuni che ci hanno
mostrato di essere in grado di superare anche le barriere dell’età per scoprire
che non è vero che non si può andare d’accordo o non ci si può aprire pur
essendo diversi per età. Allora, la terza parola è serenità ed è l’augurio che vi lascio: poter iniziare questo nuovo
anno di vita comunitaria con serenità, sapendo che non tutto sarà come avremmo
voluto, che abbiamo dei progetti che magari non si compiranno tutti allo stesso
modo, che il cammino di comunione che abbiamo iniziato anche attraverso un
viaggio come questo non avrà sempre lo slancio di questi giorni ma potrà vivere
qualche battuta d’arresto. Ciò che importa è avere chiaro che questo cammino,
così come lo abbiamo vissuto, è buono.
La
quarta parola la prendo dal Vangelo. C’è stato l’imprevisto della valigia ma
intorno a questo evento si è creata una grande solidarietà, nel senso che
Franco e Pinuccia non sono stati mai lasciati da soli (e non solo da Mario che
aveva il compito organizzativo), tutti si sono fatti vicino in modi diversi per
dire loro “non siete da soli”.
D’altra parte, solidale vuol dire
“dare a chi è solo”. La solidarietà è una parola che in questi giorni ci viene
proposta quasi come un dovere. Tutta la grande situazione a livello mondiale
che si è creata, questa migrazione che sembra biblica ci chiede di essere non
persone distratte o indifferenti. Ma prima di aprire il cuore a chi proviene da
lontano, dobbiamo esercitare il nostro cuore ad aprirsi a chi è vicino,
altrimenti possiamo certo mettere una persona in una stanza ma non è
condividere la vita. Essere solidali.
Allora,
la quarta parola che vorrei consegnare a me e a voi è proprio solidarietà. Ed è possibile a tutti:
tutti possono offrire qualcosa, chi del denaro perché ha avuto la grazia,
l’abilità di averne per se e per altri, ma tutti possiamo dare il tempo, un
sorriso, una parola buona, un atteggiamento di bene.
Infine,
la quinta parola che vi consegno è una parola che amo e che è lo stupore, che mi permette sempre di
commuovermi. In questi giorni ho guardato, come voi, tutti i luoghi che ci sono
stati proposti, tante volte mi sono domandato come mai questo paese sembra un
po’ schizofrenico, con spinte che sembrano tese in avanti e poi tornano
indietro. Però ho apprezzato come ieri, nella vista all’ultima chiesa, una
straordinaria bellezza mi abbia stupito. Anche se, in realtà, il mio stupore
più grande è stato sperimentare la vostra grande disponibilità: uno dei momenti
che mi ha colpito di più è stata la disponibilità a fare fatica, dopo una lunga
giornata di pullman, e di trovarsi insieme a celebrare. Mi ha stupito poi
l’attenzione di alcune persone nei confronti di altri. Mi sono detto “posso rimanere incantato davanti alla
bellezza che nasce dall’abilità dell’uomo solo se riesco a stupirmi della
bellezza che c’è in ogni uomo”. L’invito che vi faccio è quello di essere
un po’ sempre bambini, non ingenui, ma sempre stupiti, incuriositi da quello
che hanno di fronte che, anche se non comprendono completamente, arriva a
colpire la loro fantasia, la loro immaginazione e gli permette di crescere non
fisicamente ma nel cuore.
Il
desiderio che ho per ciascuno di noi è che siamo sempre capaci di stupore. Il nostro cuore così crescerà
e saremo capaci di comunione, di celebrare
la vita, saremo capaci di serenità
e saremo capaci di essere un po’più solidali.
E' sempre un piacere leggere la trascrizione delle tue emozioni e di quelle condivise con gli altri attraverso un semplice blog.
RispondiEliminaUn augurio di buona anno, di buon cammino alla guida e di tanta benedizione. CIAO
Paolo