27 settembre 2015 - V domenica dopo il martirio di S. Giovanni
“Il Signore è il nostro Dio. Unico è il Signore. Tu amerai il Signore tuo
Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”: è il primo comandamento, il fondamento
di ogni alto precetto. È il primo comandamento, cuore dell’esperienza credente del popolo d’Israele. È
un comandamento da custodire nel cuore, da custodire sempre quando ci si alza e
quando si va a riposare, quando si esce di casa e quando vi si entra. Sempre,
per ricordare che l’agire
morale, i comportamenti devono avere come cuore un amore per Dio, perché questo amore non si può conquistare né ricambiare, si può solo accogliere. Come in ogni
relazione autentica l’amore
fa nascere gesti di gratuità, di benevolenza, di bontà, così
anche per Dio.
L’altra sera (venerdì 25 settembre) l’Arcivescovo incontrando i giovani che hanno iniziato il cammino di
questo anno pastorale entrando nel gruppo giovani, diceva: “bisogna conoscere prima l’amore della morale”, non si può, cioè, ridurre la propria vita ai propri comportamenti perché spesso questi possono essere dettati
dalla convenienza, dall’abitudine, dal fatto che “tradizionalmente ho sempre fatto così”, ma se non sono radicati in un amore autentico ci si può stancare, si può perdere di vista quello che sembrava
essere fondamentale. Vale così, per esempio, per la messa della domenica: abbiamo educato tanti
giovani ad andare ogni domenica alla messa, ma ad un certo punto non vanno più e ci si domanda “perché?”: forse perché in quel gesto non c’era un amore autentico, che permette
di andare oltre la voglia, oltre la pigrizia, oltre le compagnie, oltre i
condizionamenti che si incontrano nel cammino della vita.
È l’amore che spinge a compiere gesti di gratuità ed è l’amore
che fa in modo che la propria vita sia diversa.
Così, questo comandamento che ha accompagnato il popolo d’Israele acquista nel cristianesimo,
con l’avvento di Gesù Cristo, una forza nuova perché Gesù ci insegna che non si può amare Dio senza amare il prossimo, il proprio fratello e la
legge, cioè
tutto ciò
che è necessario per vivere sta proprio in
questo: amare Dio con tutto se stesso e
il prossimo come se stesso.
Paolo ci invita a camminare nella
luce, a evitare cioè
di pensare che di nascosto si possano compiere azioni perché tanto nessuno le vede; ci invita ad essere
uomini luminosi e autentici sempre, sapendo che noi non possiamo neppure
consentire che il male passi attraverso di noi, non solo che noi lo compiamo.
La novità del Vangelo sta nel fatto che Gesù sta di fronte a chi lo mette in
difficoltà
rilanciando verso l’alto,
verso un desiderio più
grande, per questo non si lascia intimorire dal dottore della legge, non
giudicandolo neppure ma lo conduce a scoprire che la sua domanda, posta per
giustificarsi, è
la domanda che può
illuminare tutta l’esistenza
e così, in questo racconto tanto breve, Gesù riscrive il decalogo. I comandamenti
li conosciamo bene, tante volte diciamo “beh, in fondo
sono abbastanza bravo. Non faccio tanto male. Non uccido nessuno, non rubo” ma rimangono molto lontani.
Invece, questo brano ci riporta a un
decalogo molto concreto, quotidiano: perché la strada da Gerusalemme a Gerico è la strada dell’umanità
e perché
sempre, sulla strada, incontriamo qualcuno che può essere ferito, in difficoltà. Ce ne sono tante e lo sappiamo bene: sono le difficoltà della fatica di vivere che non è solamente la fatica economica ma
sono la sofferenza, l’ingiustizia,
l’incapacità ad amare e, a volte, a non essere
amati. Allora questo racconto ci riporta a una quotidianità molto stringente: ci parla dell’indifferenza e della superficialità. Il sacerdote che vede e va oltre,
pensando che le sue leggi, i suoi doveri sono più importanti di prendersi cura di quell’uomo; sa bene che nella Scrittura,
nel Levitico, ci sono delle leggi sulla purezza, sulla purità che vanno osservate e una di queste
dice che non bisogna toccare il sangue e lui, che è un sacerdote, osserva questa legge e
si dimentica del suo fratello. Passa poi un levita, che dice “ci penserà qualcun altro, perché proprio io? Con tutti quelli che passano su questa strada non
devo mettermi io in gioco” e va oltre. Passa uno straniero, un
nemico, un samaritano, un eretico e compie una serie di gesti (10 gesti) che
riscrivono il decalogo ricordandoci che non è possibile amare Dio e non amare il prossimo, che non possiamo
dire di essere di Cristo se non mettiamo tutto il nostro cuore, tutta la nostra
mente, tutta la nostra anima, tutta la nostra forza nel cercare di amare Dio e
il prossimo. Così,
quest’uomo vede e ha com-passione:
questa parola descrive, nel Vangelo, con più forza il modo in cui Dio sente l’amore per gli uomini. Gli si fa vicino, fascia le sue ferite, gli
versa l’olio
e il vino –
elementi preziosi -, poi lo carica sulla sua cavalcatura, lo porta in un luogo
sicuro, si prende cura di lui, poi dona del denaro e si impegna, al suo
ritorno, a salvare ogni debito.
Questo racconto ci parla di come
possiamo vivere oggi i rapporti interpersonali e ci insegna che questo amore
non può essere unicamente per i ‘nostri’, per quelli della mia famiglia, del mio gruppo, della mia
parrocchia, della mia religione. Ci chiede di domandarci chi è il prossimo sapendo bene che Gesù si è
fatto prossimo alla nostra umanità, scegliendola, assumendola totalmente senza nessun limite – neppure quella della morte -,
insegnandoci che nell’umanità ferita, esclusa, condannata a morte
c’è Lui. Gesù è quel malcapitato lungo la strada ed è samaritano e ci chiede di essere così anche noi: a volte malcapitati,
fatti oggetto della cura di qualcuno, a volte noi protagonisti di un amore
totale e disinteressato verso altri.
Oggi ci domandiamo “chi è il mio prossimo in questo momento concreto? Chi mi è così prossimo da
chiedermi una serie di gesti d’amore che sono atti a costruire bontà, gratuità?”. Possiamo trovarli nelle nostre case, ma anche per le vie dei
nostri paesi aprendo il cuore al mondo e a quella tragedia immane che arriva
nelle nostre case, filtrata da tanti giudizi e che invece ci chiede di farci
delle domande autentiche. Oggi poi vogliamo andare a riguardare alla nostra
esistenza, alla nostra vita e domandarci “Chi è stato
samaritano nei nostri confronti in qualche momento della nostra storia, quando
ci siamo sentiti un po’ dei malcapitati e qualcuno si è fatto accanto regalandoci gesti d’amore che non ci aspettavamo?”. Andiamo a ringraziare queste
persone perché
in questa memoria grata può nascere in noi il desiderio di essere a nostra volta per qualcuno
così attenti da vedere, avere
com-passione e farsi vicini. Forse non riusciremo a risolvere tutti i problemi,
ma escluderemo dalla nostra vita la superficialità e l’indifferenza,
avremo di più
i tratti di questo Dio che ha com-passione di questa umanità e che si fa carico di ciascuno di
noi.
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