13 gennaio 2016 - Santi Ilario e Remigio
Ci sono dei santi più famosi e altri meno. A volte, leggendo il nome dei santi ricordati nella tradizione cristiana sorrido leggendo alcuni nomi improponibili oppure sconosciuti, eppure nell’arco della loro vita sono stati significativi tanto che la Chiesa li ha indicati come modelli di vita.
Così anch’io sono andato a cercare qualche notizia su Ilario e Remigio, perché mentre nel corso degli studi qualche pagina di Ilario di Poitiers l’ho incontrata, di San Remigio sapevo veramente poco. Inoltre, capita che qualcuno a volte faccia confusione e attribuisca proprio a Ilario la conversione dei franchi, mentre la storia consegna questa tradizione a Remigio.
Perché far memoria di questi due santi che sono lontani nel tempo? Autori di un tempo apparentemente non straordinario ai nostri occhi, meno certamente di altri più famosi e conosciuti. Credo, come dicevo ai nostri bambini, che il motivo per cui noi facciamo memoria dei santi è duplice: il primo perché chiediamo la loro protezione, chiediamo che vengano in soccorso con la loro preghiera alla nostra esistenza, tanto che la liturgia li chiama “amici” e a un amico si chiede aiuto, si chiede compagnia, si chiede condivisione, vicinanza. Conoscere la vita dei santi significa riconoscere che loro hanno compiuto già il percorso della loro vita e sono in una comunione più profonda con Dio. Averli come amici non significa assicurarsi delle grazie, avere dei benefici, poter avere un “santo in paradiso” ma poter contare su coloro che condividono con noi la fatica dell’esistenza perché prima loro l’hanno portata nella loro esistenza stessa.
Ilario paga con l’esilio la sua volontà di difendere la fede di fronte all’eresia ariana che è molto diffusa, avvallata anche dai potenti e dall’imperatore, e un po’ sopportata anche da parte della Chiesa perché era difficile, in quel tempo, arrivare a una definizione chiara, dal punto di vista teologico, della natura divina e umana di Cristo. È stato un lungo cammino quello della Chiesa nel riconoscere che Gesù non è solamente un grande uomo ma è il Figlio di Dio; è stato un percorso che ha chiesto la partecipazione dell’affetto ma anche dell’intelligenza di tanti uomini come Ilario.
Il secondo motivo per cui noi invochiamo i santi e guardiamo a loro è perché la liturgia ci dice “sono modelli di vita”. Certo, inizialmente le figure di santità più vicine al cuore del popolo di Dio erano quelle dei martiri perché con la loro vita riproponevano in modo chiaro lo stile di Gesù che per amore arriva a donare la vita. Primo martire è Stefano che muore proprio come Gesù, colpito e mentre muore chiede il perdono per i suoi uccisori. Ma poi con il ministero di Martino di Tours inizia ad aprirsi una nuova strada, quella della considerazione della figura del Vescovo come successore degli Apostoli e come uomo di Dio che spende la propria vita come buon pastore per il suo gregge. Così, anche noi possiamo imparare dalla vita dei Santi Vescovi.
Il primo tratto che vogliamo cogliere è proprio questo: la fede non è un’esperienza che non debba essere alimentata, approfondita, custodita. Anche i demoni riconoscono che Gesù è il Figlio di Dio ma non per questo credono in lui. La fede va approfondita perché non sia confusa, perché non sia messa in discussione. D’altra parte, soprattutto in questo tempo in cui siamo messi a confronto con altre esperienze di fede, in questo tempo in cui appare come i principi fondamentali anche della convivenza sociale, che per tanto tempo sono stati ricondotti alla morale cristiana, vengano messi in discussione se non addirittura cancellati da larga parte di un’opinione pubblica che, pur avendo come matrice il Cristianesimo, non lo ha coltivato, custodito, alimentato, per cui non può più dire “Gesù è il Signore”. Oppure lo può dire come lo dicono i demoni “Che vuoi da noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci!”. In questo tempo noi abbiamo il compito di approfondire la nostra fede, di non accontentarci di quello che sappiamo, di nutrirci costantemente della Parola di Dio e dei Sacramenti, come via alla santità, come cammino solido, sicuro perché la nostra fede non vacilli di fronte a proposte nuove e soprattutto di fronte a questa cultura che dice “non c’è una verità, ce ne son molto e ognuno scelga quella che più l’aggrada, più gli piace”. Così, pare, che la verità sia legata più a ciò che piace che a non a ciò che è Vero, ciò che giusto, ciò che è bello. Innanzitutto, allora, noi oggi facciamo memoria dei santi perché vogliamo, chiedendo l’intercessione di Ilario e di Remigio, crescere nel desiderio di una fede più profonda e solida, sapendo rendere ragione della speranza che è in noi con rispetto ma anche con franchezza. Ilario, piuttosto che piegarsi all’imperatore e a coloro che imponevano l’eresia come strada per poter vivere tranquilli, preferisce l’esilio e si pone di fronte ai potenti del suo tempo come solido riferimento per una dottrina certa, quella maturata all’interno della Chiesa da parte di santi pastori, come Atanasio in Oriente, che difendono la verità di un Dio che sceglie di essere uomo non dimenticandosi di essere Dio, non negando la sua dignità.
Il primo tratto che vogliamo cogliere è proprio questo: la fede non è un’esperienza che non debba essere alimentata, approfondita, custodita. Anche i demoni riconoscono che Gesù è il Figlio di Dio ma non per questo credono in lui. La fede va approfondita perché non sia confusa, perché non sia messa in discussione. D’altra parte, soprattutto in questo tempo in cui siamo messi a confronto con altre esperienze di fede, in questo tempo in cui appare come i principi fondamentali anche della convivenza sociale, che per tanto tempo sono stati ricondotti alla morale cristiana, vengano messi in discussione se non addirittura cancellati da larga parte di un’opinione pubblica che, pur avendo come matrice il Cristianesimo, non lo ha coltivato, custodito, alimentato, per cui non può più dire “Gesù è il Signore”. Oppure lo può dire come lo dicono i demoni “Che vuoi da noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci!”. In questo tempo noi abbiamo il compito di approfondire la nostra fede, di non accontentarci di quello che sappiamo, di nutrirci costantemente della Parola di Dio e dei Sacramenti, come via alla santità, come cammino solido, sicuro perché la nostra fede non vacilli di fronte a proposte nuove e soprattutto di fronte a questa cultura che dice “non c’è una verità, ce ne son molto e ognuno scelga quella che più l’aggrada, più gli piace”. Così, pare, che la verità sia legata più a ciò che piace che a non a ciò che è Vero, ciò che giusto, ciò che è bello. Innanzitutto, allora, noi oggi facciamo memoria dei santi perché vogliamo, chiedendo l’intercessione di Ilario e di Remigio, crescere nel desiderio di una fede più profonda e solida, sapendo rendere ragione della speranza che è in noi con rispetto ma anche con franchezza. Ilario, piuttosto che piegarsi all’imperatore e a coloro che imponevano l’eresia come strada per poter vivere tranquilli, preferisce l’esilio e si pone di fronte ai potenti del suo tempo come solido riferimento per una dottrina certa, quella maturata all’interno della Chiesa da parte di santi pastori, come Atanasio in Oriente, che difendono la verità di un Dio che sceglie di essere uomo non dimenticandosi di essere Dio, non negando la sua dignità.
Altro tratto fondamentale, allora, della testimonianza dei nostri patroni è proprio quello di essere all’interno di una vita che è ecclesiale ma anche civile, dove il confronto con chi ci governa avviene nella vita di tutti i giorni, dove noi abbiamo il compito di essere onesti cittadini e buoni cristiani, ma dove questa onestà non rifiuta il confronto e la capacità intelligente di stare di fronte a leggi antiche e nuove con la libertà di chi sa scegliere. Ilario ci insegna questo: non si obbedisce ciecamente, si sceglie la via del confronto.
Remigio, che è un uomo che ha vissuto la sua vita nel passaggio faticoso del crollo di un mondo, come l’impero romano, e quindi del crollo di alcune certezze, di alcune realtà solide, è anche l’uomo che sta di fronte alla novità che caratterizza il suo paese come colui che ha come monito, vanto, “punto d’onore” - direbbe Paolo -, quello di convertire i franchi al Cristianesimo. Quando questo avviene non si sente appagato, come uno che ha raggiunto il suo obiettivo e si tira da parte gloriandosi del suo successo. Costantemente per tanto tempo, ha vissuto la sua fedeltà quotidiana e i compiti dell’essere pastore, vescovo. Così Remigio ci insegna la tenacia, la costanza nel tentare di raggiungere un obiettivo; ci insegna ad avere sogni grandi, a volare in alto, a non accontentarsi sempre dell’abbiamo sempre fatto così, a saper sognare una realtà che viene non dalle proprie voglie ma dall’ascolto della Parola di Dio che ci insegna che la bellezza del cielo sta nei suoi astri, nelle stelle, che ci spingono a guardare verso l’alto e, ben piantonati sulla terra, a credere che noi possiamo vivere qui quest’esperienza di vita, sempre con uno sguardo di cielo.
Remigio ci insegna poi la fedeltà quotidiana, il ripetersi uguale di compiti, esercizi, impegni, fatiche e credere che lì si nasconde la santità. Così come Gesù ci insegna nella sua giornata di Cafarnao, divisa nel compiere quello che fa un maestro: insegnare, stare accanto alle persone, in particolare ai più bisognosi, e agire con autorità (cioè con la forza che viene dalla comunione profonda con il Padre).
Chiediamo allora al Signore che in questa festa dei nostri Santi Patroni, anche noi sappiamo ricalcare la memoria e le gesta di questi santi. Approfondiamo la nostra fede, troviamo ogni occasione per andare in profondità, per conoscere di più, per amare di più Dio. Stiamo di fronte all’autorità civile con la libertà di coloro che sanno scegliere secondo una verità che non è legata alle voglie ma all’ascolto della Parola. Inseguiamo sogni grandi, per ciascuno di noi e per questa nostra Chiesa, con la tenacia di chi sa che con la grazia di Dio si possono compiere grandi cose e chiediamo la fedeltà nel compiere quotidianamente quello che ci è chiesto di fare, anche quando appare ripetitivo, inutile, quasi scontato perché in questo modo feriale, quotidiano, noi ricordiamo che Dio si è fatto uomo veramente e ha scelto di nascondersi agli occhi di molti, formando il suo cuore alla scuola della casa di Nazareth per tanto tempo. Solamente dopo questa lunga, faticosa, quotidiana, feriale vita ha potuto iniziare un percorso breve, vissuto con autorità quell’arco di tempo così piccolo che ha cambiato la sua storia, la storia degli uomini e la nostra. Rendiamo grazie a Dio perché facciamo parte di una storia come questa, dove i Santi Patroni ci hanno preceduto e sono amici e modelli di vita.
Remigio, che è un uomo che ha vissuto la sua vita nel passaggio faticoso del crollo di un mondo, come l’impero romano, e quindi del crollo di alcune certezze, di alcune realtà solide, è anche l’uomo che sta di fronte alla novità che caratterizza il suo paese come colui che ha come monito, vanto, “punto d’onore” - direbbe Paolo -, quello di convertire i franchi al Cristianesimo. Quando questo avviene non si sente appagato, come uno che ha raggiunto il suo obiettivo e si tira da parte gloriandosi del suo successo. Costantemente per tanto tempo, ha vissuto la sua fedeltà quotidiana e i compiti dell’essere pastore, vescovo. Così Remigio ci insegna la tenacia, la costanza nel tentare di raggiungere un obiettivo; ci insegna ad avere sogni grandi, a volare in alto, a non accontentarsi sempre dell’abbiamo sempre fatto così, a saper sognare una realtà che viene non dalle proprie voglie ma dall’ascolto della Parola di Dio che ci insegna che la bellezza del cielo sta nei suoi astri, nelle stelle, che ci spingono a guardare verso l’alto e, ben piantonati sulla terra, a credere che noi possiamo vivere qui quest’esperienza di vita, sempre con uno sguardo di cielo.
Remigio ci insegna poi la fedeltà quotidiana, il ripetersi uguale di compiti, esercizi, impegni, fatiche e credere che lì si nasconde la santità. Così come Gesù ci insegna nella sua giornata di Cafarnao, divisa nel compiere quello che fa un maestro: insegnare, stare accanto alle persone, in particolare ai più bisognosi, e agire con autorità (cioè con la forza che viene dalla comunione profonda con il Padre).
Chiediamo allora al Signore che in questa festa dei nostri Santi Patroni, anche noi sappiamo ricalcare la memoria e le gesta di questi santi. Approfondiamo la nostra fede, troviamo ogni occasione per andare in profondità, per conoscere di più, per amare di più Dio. Stiamo di fronte all’autorità civile con la libertà di coloro che sanno scegliere secondo una verità che non è legata alle voglie ma all’ascolto della Parola. Inseguiamo sogni grandi, per ciascuno di noi e per questa nostra Chiesa, con la tenacia di chi sa che con la grazia di Dio si possono compiere grandi cose e chiediamo la fedeltà nel compiere quotidianamente quello che ci è chiesto di fare, anche quando appare ripetitivo, inutile, quasi scontato perché in questo modo feriale, quotidiano, noi ricordiamo che Dio si è fatto uomo veramente e ha scelto di nascondersi agli occhi di molti, formando il suo cuore alla scuola della casa di Nazareth per tanto tempo. Solamente dopo questa lunga, faticosa, quotidiana, feriale vita ha potuto iniziare un percorso breve, vissuto con autorità quell’arco di tempo così piccolo che ha cambiato la sua storia, la storia degli uomini e la nostra. Rendiamo grazie a Dio perché facciamo parte di una storia come questa, dove i Santi Patroni ci hanno preceduto e sono amici e modelli di vita.
Commenti
Posta un commento