24 gennaio 2016 - III domenica dopo l'Epifania


Dio mantiene la sua promessa e così, dopo aver liberato il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto, lo porta davanti alla Terra Promessa, al luogo che aveva scelto per il suo popolo, già dai tempi di Abramo, questa terra dove scorre latte e miele.
Così gli esploratori hanno la possibilità di vedere che davvero Dio ha mantenuto fede a quanto aveva detto. Questa terra è una terra rigogliosa, è una terra ricca, è una terra promettente ma la difficoltà di doverla conquistare diventa paura.
Così, se da una parte le tribù d’Israele lodano Dio per le grandi opere che lui ha compiuto, per il suo essere creatore di tante meraviglie, dall’altra parte c’è la paura che impedisce a quelle tribù, a quegli uomini di scegliere di andare coraggiosamente verso quella terra e di conquistarla.
Il libro dei Numeri ci parla di questa realtà: da una parte il conoscere la grandezza del Dio creatore, autore di meraviglie, dall’altra parte la paura del popolo di Dio che diventa ostacolo, impedimento della piena manifestazione della gloria di Dio.
Così questa parola ha un significato anche per noi, che abbiamo detto nel salmo “Il Signore ricorda sempre la sua parola santa” e poi abbiamo detto “rendete grazie al Signore per tutte le sue meraviglie”: per noi, innanzitutto, un invito alla lode, a ringraziare. Chi non sa ringraziare Dio significa che non lo conosce. Molti sono anche tra i cristiani coloro che pensano che non sia necessario; in realtà la preghiera di lode e di ringraziamento è la preghiera fondamentale del cristiano ed è l’unica preghiera che dice che Dio non è uno di cui avere paura ma è alleato alla mia vita, è con me, tanto che può accadere qualsiasi cosa e io non sono abbandonato, non sono lasciato da solo. Dio è il primo ad essere solidale con coloro che sono i suoi figli. Ma come si può sentire questa presenza di Dio se lui è uno sconosciuto, se lui è marginale alla vita, se lui non è protagonista dei nostri giorni? 
La seconda lettura ci parla di questa intuizione che Paolo ha a favore dei cristiani di Gerusalemme. La persecuzione ha colpito la città, Stefano è stato ucciso e lui stesso ne è testimone. I cristiani sono stati dispersi, lui si è fatto come punto d’onore annunciare il Vangelo a coloro che non sono provenienti dal giudaismo. Così ha iniziato a girare per le terre intorno a Israele, arrivando lontano in Grecia, ma non dimentica che lì è l’origine di tutto e allora indice questa grande colletta che diventa segno della benedizione di Dio, gli uomini che partecipano dell’opera creativa di Dio. Benedire non è solo dire il bene ma è anche compiere il bene in nome di Dio, fare bene il bene, che è di più dell’accontentarsi di dire bene o di scegliere in qualche occasione di essere buoni. Questo segno della colletta acquista tanti significati: benedizione, è un’elemosina, un gesto che era sempre associato alla penitenza, a ricevere il perdono; è un atto di culto, diventa una celebrazione, un celebrare, un rendere grazie, diventa Eucaristia e l’Eucaristia è l’unica realtà che fa comunione, che crea veramente comunione. È Dio che ci permette, attraverso il Suo Spirito, di superare le divisioni, le discordie, i pregiudizi. È solamente Lui che può plasmare il nostro cuore verso una vera e profonda unità, perché noi ci rendiamo conto che i nostri slanci per quanto generosi, le nostre buone intenzioni si scontrano sempre con la durezza della vita di tutti i giorni, con le contrarietà, con le diversità di carattere e queste ci sembrano essere troppo importanti, troppo decisive perché io possa essere sempre disposto a creare comunione. È Dio che fa comunione e questo gesto della colletta è un gesto che noi compiamo ogni domenica, quando mettiamo un’offerta. I cristiani tutti dovrebbero riconoscere in questo gesto una partecipazione alla vita della comunità, un modo di sostenerla sia per le attività che son legate alla pastorale, sia nella custodia dei beni ricevuti da coloro che ci hanno preceduto, sia per l’attenzione ai poveri, a chi è solo, una povertà che a volte non è solo materiale, ma anche spirituale e morale. Sono molti coloro che non sanno gestire bene i doni che hanno, i beni che hanno. Questo gesto semplice che caratterizza la nostra celebrazione domenicale dovrebbe essere preparato, voluto, pensato.
Mi ricordo quando ero bambino: prima di uscire ci veniva data sempre una moneta. Era un gesto semplice ma che diceva il modo concreto di partecipare alla vita della comunità anche se io, da bambino, non sapevo cosa ne sarebbe stato, ma avevo fiducia di chi mi aveva dato quel denaro - che erano i miei genitori - e di chi lo riceveva. Così il gesto della colletta, della raccolta delle offerte, ha una valenza che va un po’ riscoperta perché non sia né una sto meccanico né abituale ma sia un gesto che nasce dal cuore: il Signore ama chi dona con gioia. Non per forza, non per costrizione, ma chi dona con gioia, sapendo che anche questo piccolo gesto è partecipazione della benedizione di Dio. 
Così si apre lo scenario del Vangelo di oggi che più che essere moltiplicazione dei pani è benedizione e distribuzione dei pani. Gesù benedice e questa benedizione diventa un’opera che è per tutti. Nasce dalla compassione, dalla tenerezza per coloro che gli stanno attorno. Poco prima possiamo leggere nel Vangelo che Gesù guarisce i malati che venivano a lui ma poi, dice il Vangelo, ha compassione cioè soffre con coloro che vede davanti a sé e sono nel bisogno, non li manda via, non trova una soluzione facile, sceglie di rendere protagonisti i suoi discepoli di un gesto che nasce dalla sua volontà di bene. 
I verbi che abbiamo ascoltato nel Vangelo ci rimandano immediatamente all’Eucaristia: prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò, lo distribuiva. Il richiamo è molto forte, a dire che la nostra vita per essere eucaristica ha bisogno di avere in sé la preghiera della lode, la fuga dalla paura, il desiderio di mettersi in gioco anche in maniera piccola ma costante, quotidiana, deve essere poi un rendimento di grazia perché è solamente in questo atteggiamento Dio può aprire il nostro cuore a una comunione sempre più grande nei confronti di chi ci sta accanto, nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle cristiane e di ogni uomo. Questa comunione può interrogare coloro che sono ai margini della nostra società, coloro che sono lontani dall’esperienza della Chiesa. Il volerci bene tra noi non in maniera banale ma vera, autentica, è oggi la testimonianza più forte che possiamo dare a coloro che pensano di poter vivere senza Dio.
In questi giorni preghiamo per l’unità dei cristiani. Io credo che l’ecumenismo, cioè questo percorso di piena comunione fra tutti coloro che si riconoscono nel Dio di Gesù Cristo, possa avere attraverso una profonda conoscenza di quello che sono io e della mia fede. Per questo è urgente continuare ad approfondirla, a saperla anche raccontare, annunciare. Conoscere poi gli altri, conoscere chi sono i fratelli ortodossi, protestanti perché la conoscenza fa superare il pregiudizio e ci permette di allargare il cuore e di creare nuove strade di condivisione, di solidarietà e di comunione.

Chiediamo al Signore che ci aiuti a vivere così perché i gesti che già ci appartengono siano rinnovati, perché la nostra Eucaristia sia sempre di più l’occasione per rendere grazie e per crescere nella comunione. Allora saremo segni evidenti, saremo segni grandi, saremo segni buoni della benedizione di Dio.

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