3 gennaio 2016 - Domenica dopo l'Ottava di Natale


Troviamo in ogni cultura, in ogni comunità degli uomini, una passione per la sapienza, non solo una passione per la conoscenza che permette di tradurre questa conoscenza in tecnica, in immediata risposta ai bisogni. In ogni cultura troviamo uomini e donne che hanno cercato di comprendere il significato profondo della realtà, il senso dell’esistenza, i temi fondamentali della vita dell’uomo dall’inizio del suo sorgere della vita, passando attraverso i temi della felicità, della ricerca di senso fino alla morte. Questa sapienza della vita accompagna la storia di tutti gli uomini  e noi che siamo popolo di Dio raccogliamo l’eredità che è stata posta nell’esperienza straordinaria del Popolo d’Israele. 
«La sapienza - leggiamo nel primo Testamento - viene dalla bocca di Dio, attraverso di essa ogni realtà è stata creata»: la sapienza di Dio pervade tutta la creazione e pone la sua tenda in un popolo, il Popolo d’Israele, dove fare esperienza progressiva del rivelarsi di Dio al suo popolo e a tutta l’umanità. Questa sapienza di Dio nell’arco della storia ha avuto manifestazioni diverse, legate proprio alla comprensione da parte di coloro che erano chiamati a porre la loro fiducia nel Dio unico. Così se la prima esperienza di Dio è quella di un Dio che salva, poi la riflessione si pone su un Dio che è capace di creare ogni cosa dal nulla, e poi il Dio che viene a redimere il popolo che si è smarrito, lontano dal cuore di Dio. Paolo ci dice che questa esperienza della sapienza, così come la leggiamo nel primo Testamento, non è stata però sufficiente, l’uomo si è orientato verso Dio ma costantemente il suo cuore si è mostrato incline al male, per tanto pur essendo capace di Dio l’uomo ha scelto spesso di allontanarsi da lui, ha scelto spesso di non essere secondo il cuore di Dio. Per questo è fondamentale fare riferimento “all’evento Gesù Cristo” perché è lo Spirito di Dio che permette a ciascuno di noi di comprendere o di venire a maggiore conoscenza della sapienza di Dio tanto che noi diciamo che «il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda tra noi»: non più una parola consegnata ai profeti, non più una parola raccontata ma vissuta. E come la sapienza ha posto la sua tenda nel popolo d’Israele, così la sapienza di Dio in Gesù Cristo ha posto la sua tenda tra gli uomini, diventando lui stesso uomo.
Per poter allora orientare definitivamente la nostra vita verso Dio, che Gesù ci rivela essere Padre, abbiamo bisogno di attingere alla sapienza che ci viene dal Vangelo, dalla stessa esperienza di vita di Gesù Cristo. È lo Spirito di Dio che abita in ciascuno di noi, in virtù del nostro battesimo che ci permette di entrare progressivamente nella conoscenza del Padre. La sapienza di Dio non è data una volta per tutte, non basta essere battezzati perché si possa avere consapevolezza di Dio, ma è un cammino che chiede esercizio fedele e quotidiano di ogni giorno. Attraverso questo esercitarsi, questo comprendere sempre di più, noi possiamo cogliere ciò che Gesù compie nella nostra vita ed essere capaci di cogliere le opere che Dio pone nella vita di tutti gli uomini. Così c’è stupore quando Gesù torna a Nazareth nel villaggio dove era cresciuto, dopo essere diventato già famoso perché aveva già avuto modo di presentarsi nei villaggi delle città vicine, in particolare a Cafarnao, dove c’era un’importante sinagoga. Per questo tutti hanno attenzione nei suoi confronti, hanno gli occhi fissi su di lui, si aspettano che Gesù commenti quella parola che ha proclamato, ricordando la predicazione di qualche rabbino famoso, di qualche maestro famoso. Ma Gesù stupisce tutti perché annuncia una novità: questa parola non fa parte del passato, e non è ancora lontana da noi. È viva, è qui. È invito a tutti, allora come adesso, a cogliere come la venuta del Regno di Dio è vera oggi, qui in mezzo a noi. Avviene nella scelta quotidiana che ciascuno di voi fa nel vivere la propria vita in autenticità, nel ripetere costantemente dei gesti d’amore all’interno delle piccole comunità che sono le nostre famiglie, gesti che non verranno mai raccontati, esaltatati e che pure costruiscono quel fondamento sicuro delle nostre comunità cristiane e sono benedizione, anche se a volte osteggiata, non riconosciuta, male-detta, della nostra comunità ecclesiale e soprattutto della nostra comunità civile. Le parole di Gesù sono invito a cogliere come il bene si diffonda intorno a noi e non appartenga solamente ai nostri, a quelli del nostro gruppo, della nostra comunità, della nostra famiglia, della nostra religione, del nostro paese. Tutto il bene di cui gli uomini sono capaci è ispirato da Dio ed è orientato al compimento del suo Regno. 
Abbiamo l’urgenza di cogliere il bene, di raccontarlo e valorizzarlo, sottolinearlo, promuoverlo altrimenti corriamo il rischio di entrare in quel coro inutile dei lamentosi, che non costruiscono niente, che non guardano al futuro, che non amano il presente e rimpiangono sempre un passato che hanno vissuto allo stesso modo.
Chiediamo al Signore questo coraggio, in questo tempo di Natale nel quale abbiamo ancora una volta detto che Dio non si stanca degli uomini e che ama questa umanità, questa terra, questa realtà. Lo diciamo attraverso la disponibilità a cogliere i segni di bene che ci sono nella nostra vita - e a lodarlo per questo -, ma anche a cogliere tutto il bene c’è intorno a noi. In questo modo faremo in modo che il Natale non sia una favola che va bene per tutti ma sia un invito quotidiano ad accogliere l’unica sapienza di Dio, rivelata in Gesù Cristo, senso ultimo di tutte le domande che portiamo nel cuore. Così anche noi, nella semplicità della nostra vita, contribuiremo alla venuta del Regno di Dio che si manifesta oggi, in questo mondo e che tanti uomini e donne di buona volontà continuano a costruire nella gratuità della vita, perché hanno deciso di essere veramente discepoli di Gesù.

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