31 gennaio 2016 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe


Voi conoscete bene il Vangelo e sapete che c’è un lungo tratto della vita di Gesù che ci rimane nascosto, oscuro. Leggiamo nel Vangelo alcuni episodi che riguardano prima della nascita di Gesù che avviene a Betlemme, poi la fuga in Egitto, il ritorno e, tranne un episodio di quando Gesù ha 12 anni, il Vangelo non parla più di ciò che Lui ha fatto dalla sua infanzia fino al momento in cui ha iniziato a predicare la Buona Notizia, il Vangelo.
Questo lungo periodo, circa 30 anni, non è un periodo inutile, senza significato e anche se non ci viene raccontato nei particolari, anche se non abbiamo delle testimonianze che ci parlano di quello che Gesù ha fatto in quel tempo, noi possiamo immaginare senza usare troppo la fantasia che Gesù abbia passato quel tempo vivendo all’interno della sua famiglia, nella sua piccola comunità, imparando da Maria e da Giuseppe come si fa a vivere. Certamente, loro avranno raccontato più volte quanto era accaduto prima della sua nascita e perché fosse nato lontano da Nazareth, perché quel tempo passato in esilio, fuori dal proprio paese, in Egitto, fuggiaschi, profughi…Sicuramente, Maria e Giuseppe hanno introdotto Gesù alla conoscenza delle Scritture, alla preghiera, al lavoro, a saper guardare alla vita con tutti i suoi aspetti luminosi, positivi e con le fatiche di ogni giorno. Pensate: Dio, che per 30 anni decide di spendere la sua vita nascosto al pensiero, allo sguardo di tanti, per imparare alla scuola della sua famiglia come si fa a vivere.
Così, nel raccontare il Vangelo, Gesù è capace di usare delle immagini che vengono dalla semplicità della vita quotidiana, dalla capacità di leggere gli eventi che son legati al normale modo di gestire il tempo durante i giorni feriali; certo, un modo diverso dal nostro ma che ci ricorda il gusto per tutto ciò che è semplice, umile ma bello. Gesù l’ha imparato all’interno di una famiglia.
Oggi noi siamo qui per dire “grazie” al Signore che ha voluto, nell’esperienza di Gesù - come dice la prima orazione che abbiamo proclamato - santificare gli affetti che sono all’interno della famiglia, gli ha voluti rendere divini, di Dio. 
Voi sapete che tutta la Parola di Dio, anche quella che è stata scritta prima della nascita di Gesù, racconta che Dio ha scelto il suo popolo e lo chiama “sposa”. Per dire l’amore che Dio ha per il popolo d’Israele si usa l’immagine del rapporto che c’è tra un uomo e una donna nel momento in cui si uniscono in matrimonio. Questo modo di presentare l’amore di Dio dice che Dio sceglie l’amore tra un uomo e una donna come la manifestazione, il modo più bello, per mostrare il suo stesso amore. Tanto che con la nascita di Gesù si dice che “Gesù ha sposato la Chiesa”, è unito alla Chiesa con un amore come quello che c’è tra un uomo e una donna che si vogliono bene a tal punto da donare la vita a un’altra persona, a un figlio. 
Noi siamo qui per dire grazie per questa realtà, per ringraziare per le nostre famiglie che ci hanno educato e ci educano alla vita, alla vita buona, che ci permettono di saper apprezzare ciò che nella vita è buono e a saper approntare le fatiche dell’esistenza. Siamo qui a dire che ogni rapporto tra gli uomini è certamente fragile, perché tutti noi facciamo i conti con il nostro egoismo, con la nostra incapacità di amare sempre senza chiedere qualcosa in cambio, perché tutti noi facciamo fatica a lasciare spazio agli altri; siamo qui però anche per dire che quest’esperienza può riempire veramente la vita.
I cristiani poi possono contare su un aiuto specialissimo: nel giorno del nostro Battesimo accade qualcosa che per tutta la vita ha il suo significato. Anche se noi non ci ricordiamo, in quel momento inizia in noi un’esperienza che ci accompagna sempre; anche coloro che si dimenticano del Battesimo perché non lo custodiscono, perché non ci pensano, perché non dedicano tempo al Signore, sono però abitati dallo Spirito di Dio e per questo possono sempre recuperare questa comunione con il Signore. Più noi dedichiamo tempo ad approfondire la nostra spiritualità, una spiritualità che è in comunione con Gesù, più possiamo capire i suoi doni. 
Un esempio: se io vado a celebrare ogni domenica l’Eucaristia, è vero che mi può accadere di distrarmi, anche in un momento importante come la Consacrazione, oppure può accadere che mentre leggono le letture io pensi a qualcosa d’altro, ma se io ogni domenica spendo quel tempo per mettermi in ascolto è più facile, è più possibile che una parola detta, un gesto compiuto mi entri nel cuore e mi rimanga, istruisca la mia vita, le mie scelte, i miei giudizi, le mie azioni… ma se vivo questo ogni tanto, rischio di non cogliere tutta la ricchezza che mi viene offerta. È un po’ come quando si va a guardare un’opera d’arte, un quadro: al momento si vedono alcuni aspetti ma più si ritorna più si sanno cogliere dei particolari che sfuggono al primo sguardo.
Il primo pensiero che vorrei che ciascuno custodisse è proprio questo: gratitudine al Signore per questa quotidianità, per questo spendere ogni giorno del tempo insieme a qualcuno - al papà e alla mamma - che mi insegnano a vivere. Per questo dobbiamo esser più grati, più riconoscenti per il dono che ci viene fatto di un genitore che ci genera alla vita e che ci educa alla vita.
Il secondo pensiero lo diciamo in particolare ai grandi. Voi sapete che in questi giorni a livello nazionale, a livello di Governo, si sta riflettendo sul tema delle “unioni civili”, ovvero su quelle relazioni tra persone che non rientrano nell’ambito del matrimonio. In questi giorni il Papa ha incontrato i membri del Tribunale della Sacra Rota Romana, tribunale che viene visto spesso come luogo un po’ ingiusto, dove avvengono cose strane (in realtà noi spesso ci accontentiamo dei titoli dei giornali che spesso solamente vanno a sottolineare alcuni aspetti, ma in realtà questa istituzione ha il compito di vigilare e di garantire il vincolo sacro del matrimonio). Qui il Papa ha detto a coloro che appartengono a questa realtà: «Dopo due Sinodi sulla famiglia, in un clima di relazione e di apertura al mondo contemporaneo, in uno stile di ascolto, di collegialità (cioè di pensare insieme), di discernimento (di scelte in ordine alla famiglia), possiamo dire che non è possibile fare confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Questo non significa essere contro qualcuno ma a favore di quella realtà che appartiene non solo alla storia del cristianesimo ma al nostro stesso Paese, che ha scelto di fondare la propria realtà sulla famiglia. Certo, poiché noi viviamo in questo tempo, poiché siamo a confronto con sensibilità diverse, proprio perché uno dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa è il valore della persona nella sua integrità, nella sua capacità di volere, di essere libera, certo per questo noi chiediamo che si venga incontro alle richieste di tutti ma senza creare confusione. Nel riproporre la famiglia fondata sulla libertà, sulla fedeltà, sull’indissolubilità, sull’apertura alla vita, noi non diciamo di essere contro qualcuno ma diciamo un bene che è per tutti, non solo per la Chiesa ma anche per la società civile. Noi oggi vogliamo allora pregare per tutte le famiglie perché siano luoghi dove l’accoglienza, il rispetto, il perdono, educhino i ragazzi ad avere per la vita una grande venerazione.
Preghiamo per i giovani poi che si preparano al matrimonio; spesso noi grandi li guardiamo con un po’ di sospetto, li leggiamo con le indagini sociologiche di chi dice che tanto non dura un matrimonio. Invece, come comunità cristiana dobbiamo avere uno sguardo bello, buono sui ragazzi. La possibilità del loro successo non è solamente legata alle loro forze. Impariamo a guardare ai giovani fidanzati, a coloro che cercano di capire se il matrimonio è la loro strada, guardiamo con simpatia, stima e preghiera. 
Preghiamo per coloro che si prendono cura della famiglia in diversi modi nella nostra società civile e nella società ecclesiale. Preghiamo per quelle famiglie che vivono la fatica dell’incapacità di comprendersi, della malattia, della sofferenza per la perdita di una persona amata.

L’ultimo pensiero è legato a questa immagine che abbiamo messo qui, davanti. Oggi la Chiesa ricorda un santo che è Giovanni Bosco. A lui viene attribuita questa grande intuizione: recuperare un’esperienza che di per sé non ha inventato lui, che aveva una sua storia già secoli prima, nel 1500, quando Filippo Neri un sacerdote che viveva a Roma ha raccolto intorno a sé dei ragazzi per vivere l’Oratorio, un luogo dove stare insieme e pregare (appunto, oratorio - orare, pregare) ma anche a vivere bene la vita. Anche nella nostra Diocesi un grande santo, Carlo Borromeo, inventò le scuole come luogo di aggregazione, ma Giovanni Bosco ebbe questa intuizione: uno spazio in cui tutti i ragazzi potessero vivere insieme, imparare un lavoro e non sciupare la vita. Guardiamo a Giovanni Bosco come a un grande santo, amico dei giovani e dei ragazzi e preghiamo per la nostra realtà di pastorale giovanile, perché sia davvero il cuore delle nostre migliori energie. Non perché i ragazzi sono il futuro, perché sono il presente, perché ci appartengono, perché il loro bene è il nostro, perché far conoscere loro Gesù è per noi il dono più bello, più grande. Vi invito a guardare tutti con stima all’Oratorio, a quello che proponiamo, a quello che facciamo perché sia sempre di più corrispondente al bene dei nostri bambini, dei nostri ragazzi e dei nostri giovani. In questo ci sostengano Maria, Giuseppe, San Giovanni Bosco e tutti coloro che hanno cuore il bene della famiglia e il bene dei giovani. 

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