6 gennaio 2016 - Epifania del Signore

È un messaggio di speranza quello dell’Epifania: tutti i cercatori di Dio lo possono incontrare, perché non è un Dio dei lontani, non è un Dio nascosto ma è un Dio che si rivela, che si manifesta. È un Dio che si nasconde in una casa e non in tempio, che sceglie di abitare in una città piccola e non in una grande città, Betlemme e non Gerusalemme. Nonostante, da allora, ci siano “erodi” che possono opporsi al manifestarsi della Verità, possono cercare di rallentare la diffusione, tuttavia non possono toccarla né vincerla; anche se la Verità è debole e si manifesta nella fragilità di un Bambino.
Ogni anno, quando arriva questa festa, provo a fare un percorso - aiutato dai Magi -, non tanto fisico ma spirituale, del cuore, partendo dalla Parola di Dio, da una tradizione che si rinnova in questo giorno. 
Il primo passo lo cogliamo dalla Prima Lettura, quando Isaia invita ad alzare lo sguardo, ad alzare gli occhi, a cercare di vedere intorno. La prima caratteristica dei Magi che vorrei diventasse anche caratteristica del mio cuore è quella di essere sempre capace di andare oltre i propri pregiudizi, sapendo intuire che c’è sempre qualcosa di più grande da inseguire, c’è un sogno da realizzare; saper uscire dai propri schemi, dalle proprie strutture mentali che a volte impediscono di pensare in grande e di pensare, invece, che la vita sia accontentarsi di piccole cose senza avere mai lo slancio del cuore che dà a quelle piccole cose un sapore sempre nuovo.
Questi Magi si mettono in cammino: vedono la stella e si mettono in cammino. Occorre sempre viaggiare, camminare con intelligenza e con il cuore. Ci sono uomini e donne che cercano la verità nei libri, leggono tantissimo, studiano, ma ci sono dei libri aperti tutti i giorni, anche per chi non ama tanto leggere, che sono le persone che abbiamo intorno. Loro ci rivelano sempre qualcosa di Dio, perché sono creature a sua immagine, perché Dio si nasconde nel cuore di ogni uomo e quando noi compiamo questo percorso siamo vivi.
La Scrittura, inoltre, dice “alcuni” Magi non tre - il numero è legato ai doni che tradizionalmente a loro attribuiamo -, quindi sicuramente erano più di uno: vuol dire che il cammino non si fa da soli. Il cammino della fede non è un cammino in solitaria, quando un gruppo di persone guarda nella stessa direzione non solo ce la mette tutta per arrivare a quella meta, ma si sostiene l’un l’altro, tutti hanno a cuore di arrivare e insieme ci si aiuta.
C’è poi un quarto passaggio, il più difficile - almeno per me -. I Magi fanno tanti errori e non hanno paura, però, dei loro sbagli. Arrivano a una città che non è quella giusta, arrivano a Gerusalemme non a Betlemme, parlano del Bambino a colui che uccide i bambini, perdono di vista la stella, cercano un re e trovano un Bimbo, cercano un trono e trovano una mamma che tiene in braccio il Bambino. I Magi fanno degli errori, ma non si arrendono: ricominciano, ripartono. Sanno che la meta è davvero il cuore della loro vita e il cammino ne è parte, nonostante le fatiche, le fragilità.
Queste caratteristiche mi fanno domandare: “Io dove sono?”, “Sono uno che alza lo sguardo, guarda intorno e vede i segni della presenza di Dio e si mette alla ricerca di realizzare la propria vocazione?”, “Sono uno che sa uscire dai pregiudizi, dai preconcetti, da quelle convenzioni sull’uno, sull’altro, sulla realtà, sul mondo che invece di lanciare il mio cuore lo tengono stretto, legato, impaurito?”.
Poi penso “Sto camminando?”, “Sono uno che cerca il Signore con intelligenza e con il cuore?” non solo perché mi metto a leggere la Parola, a studiare, a vivere bene il mio compito, ma anche perché mi lascio interrogare dalle persone che mi stanno intorno, dai miei compagni di viaggi e vedo in loro, in tutte le loro esperienze - quelle liete e quelle meno liete -, segni che mi rimandano alla verità e alla bontà della vita, alla bellezza della vita.
Penso al fatto di non essere da solo: la mia fede, che è scelta personale, non è quella di uno che è da solo, la condivide sempre, tutti i giorni, con altri. Ci sono alcuni che sono più vicini, altri che sono più lontani; alcuni che ti sostengono e altri che ti mostrano un po’ di indifferenza, ma insieme, sapendo bene che questa bellezza di Dio non è solo per me, è per tutti e ora ho il compito di coinvolgere il più possibile chi mi sta intorno sapendo leggere nella vita di ciascuno la bellezza di Dio perché ciascuno è sua creatura.
Infine, la cosa più difficile: “So chiedere perdono per gli errori che faccio?”, “Questa parola ‘misericordia’ che sentiamo ripetere costantemente, che sapore ha nella mia vita?”, “Mi rendo conto che nel momento in cui guardo alla mia vita e a sui errori e non mi lascio limitare o definire da essi, ma li colgo come occasione per ricominciare, per lasciarmi plasmare da Dio, questo ridona speranza alla mia vita e a quella di tutti gli uomini?”. Se ognuno è rialzato dal suo errore e ricomincia il cammino e tende alla meta, tutte le sue energie diventano positive, ma se si ferma a pensare “non cambierò mai, commetto sempre gli stessi errori, faccio sempre gli stessi sbagli” allora piano piano il sogno diventa piccolo, lo slancio del cuore si indebolisce, non gli interessa più vivere in una comunità e si accontenta del piccolo giro di amici, delle piccole cose, tutto rimane a fianco e così la fede non cresce. Il Signore, infatti, in questa festa ci dice che Lui è per tutti e che, certo, è chiesto a me di non cedere mai all’Erode che è nel mio cuore, che è mancanza di rispetto, che è mancanza di speranza e di fiducia, di amore. Mi chiede sempre di cambiare strada, di tornare da un’altra via perché quando incontro veramente il Signore non posso più percorrere le strade di prima, sarà Lui a indicarmi una nuova via, a mettere sul mio cammino una nuova stella perché quando la veda trovi una grandissima gioia.
Non è poesia questa. È come voglio vivere la vita, anche se a volte non mi va di alzare lo sguardo, anche se a volte non mi va di camminare, anche se a volte i miei errori mi pesano tantissimo, anche se a volte la comunità non è proprio un luogo dove stare bene, ma so che posso dare il mio contributo, posso offrire la mia vita: quel poco di oro che c’è e che è il mio bene, il mio cuore; quel poco di incenso che è la mia preghiera e anche un po’ di mirra, che è la mia fatica, la mia sofferenza. Il Signore saprà come usarli per il mio bene e per il bene di questa umanità.

Commenti

Post popolari in questo blog

La nonna Giselda

Quaresima il tempo per rendere bella la vita

La bocca parla dalla pienezza del cuore