3 aprile 2016 - II domenica di Pasqua


L’arco di un’intera settimana ci ha permesso di accompagnare Gesù nel tempo della sua Passione fino alla sua morte e alla sua risurrezione. L’arco di una settimana è stato vissuto in questi giorni come un unico grande giorno per dire a tutti che la gioia della risurrezione, l’annuncio pasquale “Gesù Cristo, il Crocifisso, è risorto” non può essere contenuto nello spazio di uno solo giorno, ma ha bisogno di dilatarsi perché questo annuncio, fonte e fondamento della nostra fede, accompagni l’agire quotidiano, ogni giorno della vita. Così la settimana diventa lo spazio nel quale noi organizziamo i nostri appuntamenti, tutto ciò che riguarda il lavoro, la famiglia, il tempo libero, le scelte che caratterizzano il nostro agire.
Ogni domenica torna il giorno del Signore per ricordarci che la settimana prende forza, alimento da questo incontro con Gesù nell’Eucaristia e il rinnovarsi dell’annuncio “Gesù Cristo è risorto!” diventa per noi il motivo per cui riprendere il cammino quotidiano, misurandoci con la fatica di tutti i giorni, la fatica legata alle difficoltà che sono le relazioni, i problemi che accompagnano il vivere all’interno della famiglia, i temi del lavoro, come anche la malattia, la sofferenza, la morte.
Oggi noi celebriamo questa seconda domenica di Pasqua che la tradizione cristiana di questo ultimo tempo ha arricchito con l’appellativo della “Divina Misericordia”. Giovanni Paolo II ha voluto che questa domenica dopo la Pasqua fosse intitolata alla Divina Misericordia ascoltando la rivelazione fatta a una santa - Faustina Kowalska - che ha intuito attraverso il dialogo con il maestro, Gesù, come fosse necessario che un tempo dedicato venisse offerto agli uomini perché in modo speciale riflettessero sullo straripante amore di Dio su ciascuno.
Questa domenica si colloca all’interno dell’Anno Santo straordinario della Misericordia e per questo amplifica il suo valore e diventa per noi un invito forte a considerare come l’esperienza del perdono non può essere opzionale nel cammino della conversione del cuore nella vita. Chiedere perdono, anche attraverso il sacramento della Riconciliazione, non può essere evento che si relega a qualche occasione durante l’anno (Natale, Pasqua o qualche altra occasione) ma è un’urgenza per chi desidera camminare verso il cuore di Dio. Non chiedere perdono attraverso il sacramento della Riconciliazione è un atto di superbia, significa pensare di poter salvare la propria vita o di darle senso senza Dio. C’è in Dio un desiderio ancora più grande del nostro di colmarci della sua benevolenza e della sua grazia. C’è un desiderio di Dio di farci crescere nel suo amore più grande del nostro desiderio. Il perdono sacramentale non è commisurato alla gravità della colpa, pertanto vado a confessarmi se ho fatto o compiuto un peccato grave, un peccato mortale, un peccato cioè che volontariamente ha rotto la comunione e l’armonia con il Signore; la grazia del sacramento è una grazia efficace e non è legata unicamente alla gravità del peccato ma è possibilità data a ciascuno di rinnovare il cuore e rendere il cammino verso la santità della vita più agile. Faremo sempre i conti con le difficoltà della vita quotidiana, con le pigrizie, con le incomprensioni, con i dubbi, ma non possiamo pensare di compiere un cammino di santità, di conversione del cuore senza far riferimento alla misericordia di Dio. È presuntuoso, è superbo.
Oggi noi incontriamo la figura di Tommaso che ci è simpatica perché ci rappresenta: sia nel senso che a volte la nostra vita è attraversata da qualche dubbio, talora capita anche a noi di dire “ma ci sarà veramente qualcosa?” oppure alcuni dei fondamenti della fede ci risultano così difficili, compresa la risurrezione. Tommaso dice non è possibile. Devo vedere, devo toccare. Tommaso diventa anche una provocazione per tutti coloro che dicono di essere credenti: in fondo, dice ai suo amici se voi ci credete veramente, se il Signore è risorto come dite voi, non potete stare dentro qui. Non potete essere chiusi, paurosi in questa casa. Mostratemi che è vero. Mostratemi che l’avete visto il Signore, che davvero è risorto. E così l’incontro di Gesù con Tommaso non è colmo di rimproveri, di durezza ma di una tenerezza infinita: sono qui, per te. Così il Signore si rivela a ciascuno di noi, perché anche a noi arriviamo a dire quella professione di fede che è tra le più belle del Vangelo: Mio Signore e mio Dio. Tommaso arriva a compiere questo perché si lascia incontrare dal Signore.
Anche l’opera di misericordia spirituale che mettiamo al centro della nostra attenzione in questa settimana ci viene d’aiuto: consigliare i dubbiosi. Il dubbio di per se non è sempre un elemento negativo. È molto meglio una fede che si fa delle domande, che si pone dei quesiti che non una fede che si appiattisce sull’abitudine, sul ripetere continuamente dei gesti senza dargli il sapore della novità, la freschezza del desiderio che si rinnova. Il dubbio ha però bisogno di essere affrontato attraverso la preghiera, per chiedere luce allo Spirito che guida e attraverso lo studio. Come possiamo pensare di comprendere ciò che è buono, ciò che è giusto, ciò che è santo, ciò che è vero senza misurarci con la Parola di Dio? Non è sufficiente che questa ci raggiunga alla domenica, quando per tutta la settimana ci lasciamo ammaestrare da altre parole, da altri maestri, da altri che pretendono di dirci ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ci ritroviamo così ad essere un po’ freddini, non abbiamo il coraggio di confrontarci sull’esperienza della fede, pensiamo “ognuno faccia come vuole, ognuno creda quello che vuole”. Tommaso dice ai suoi amici “io voglio capire e voi, con il vostro dire ‘abbiamo visto il Signore’, non siete convincenti perché le vostre azioni non sono corrispondenti”. Perché noi possiamo vivere una vita orientata verso il Signore dobbiamo lasciarci guidare dall’ascolto della parola, dalla preghiera e dall’approfondimento della nostra fede, anche attraverso l'ascolto del magistero, altrimenti rimaniamo sempre ancorati a qualche conoscenza che però non scalda il cuore e non ci aiuta a dire con coraggio “Se bisogna obbedire a Dio e agli uomini giudicatelo voi, noi abbiamo scelto di obbedire a Dio e lo riconosciamo come l’unico Signore”.
Per questo è importante riscoprire un aspetto della tradizione cristiana che è legata alla figura della guida spirituale, del padre spirituale, di colui che ti accompagna nel cammino della vita, una persona che riconosciamo aver compiuto un percorso che lo rende più solido nella fede, qualcuno che mi aiuta a leggere i segni della presenza di Dio nella mia vita e mi incoraggia, mi esorta a scegliere secondo il cuore di Dio, obbedendo a Dio.
Chiediamo allora al Signore che questa domenica della Divina Misericordia diventi per noi l’occasione di una ripartenza, come ogni domenica, come ogni volta nella quale ci troviamo a riascoltare quell’annuncio fondamento e fonte della nostra fede: il Signore Gesù, il Crocifisso, è risorto. Che riusciamo anche noi a dire con verità a Gesù Cristo, il Crocifisso risorto: Mio Signore e mio Dio.

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