12 giugno 2016 - IV domenica di Pentecoste


«Se agisci bene non essere irritato e tieni alto il tuo volto, ma se non agisci bene lasci che il peccato sia accovacciato alla tua porta. Tu puoi dominarlo».
Tutti i giorni siamo a confronto con il bene e con il male. Purtroppo tante volte questo giudizio lo diamo in base al buon senso, a quello che ci viene suggerito più dal pensare comune, dalle convenienze, dalle abitudini e non tanto dall’ascolto della Parola di Dio. Ogni giorno facciamo i conti con il bene e con il male. A volte decidiamo di compiere il bene e lo facciamo anche con fatica, sapendo che non sempre scegliendo questa strada ci ritorna immediatamente un bene. A volte, però, pur sapendo che quell’azione che stiamo per fare è male, la facciamo ugualmente pensando di bastare a noi stessi e che, in fondo, non ci sia una conseguenza.
L’esperienza che la Genesi descrive del rapporto tra fratelli è un’esperienza che ogni giorno ci viene raccontata attraverso le storie di uomini e donne del nostro tempo. Una violenza che ci sembra così assurda, così immotivata: perché non riprovare nuovamente? Perché non scegliere un’altra strada? Perché non parlare con Dio, con il proprio fratello di questa situazione di disagio? Perché pensare che solo eliminando il problema dalla radice, con violenza, tutto si risolve?
Come abbiamo ascoltato quando abbiamo parlato del peccato di origine e come questo induca ad avere vergogna, paura a trovare tutto quanto fuori da quell’armonia pensata da Dio nella Creazione, così anche questo peccato genera una serie infinita di violenza: Caino verrà cercato e, così come ogni uomo che compie il male, si ritroverà addosso quel male che ha compiuto. Non è vero infatti che chi compie il male la fa sempre franca. C’è un male che si vede, evidente come quello della violenza, e c’è un male dentro nel cuore che nessuno vede ma che si sperimenta tanto e a volte lascia ferite più profonde.
Qual è la strada allora perché questo confronto quotidiano con il male sia vinto?
Credo che la strada ci venga indicata da Gesù che ci mostra una via alta, altissima, come è tutto quello che è descritto nel testo di Matteo in quella sezione che chiamiamo “Discorso della montagna” che si apre con le Beatitudini e si conclude con la parabola della casa costruita sulla Roccia. Questa parola ci sembra troppo difficile: «chi si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio». Quante volte ci capita una giornata, nell’arco del tempo, di prendercela con qualcuno?! In casa per un’incomprensione, perché le cose non vanno come vogliamo, quando la tensione si alza perché il lavoro non va tanto bene, perché la salute mette in difficoltà, perché i figli non hanno i risultati sperati a scuola, perché non tutti sono capaci di offrirti sempre cordialità; oppure al lavoro quanto è difficile andare d’accordo, spesso non si ha lo stesso sguardo sulle realtà, sulle cose, sulle persone. Ce la prendiamo poi ascoltando quanto ci viene detto dalla televisione attraverso i racconti dei telegiornali o di questi infiniti talkshow che sono dei luoghi dove un sacco di gente viene messa sotto l’agogna del giudizio.
Perché Gesù ci dice che questa strada è sbagliata? Credo che il riferimento sia questo: l’Amore non è una questione a tempo, non è legato al “mi piace” o “non mi piace”, non è un click su un tasto per dire che quella notizia mi aggrada oppure no. L’Amore che Dio ci propone è sempre quello che fa riferimento all’amore di un padre e di una madre: un amore costante, anche quando noi non lo percepiamo. Un papà e una mamma non ti perdonano solo quando hai sbagliato molto, ti perdonano sempre e se a volte ti chiedono quello che a te sembra distante dal tuo bene, col tempo si rivelerà una strada più promettente. L’amore di un padre e di una madre è quotidiano, è fedele, è esigente ma è anche quello che sempre dà la vita. Il Vangelo è questa strada: una strada di vita, perché quando ci allontaniamo da questa scegliamo la strada di Caino, che è una strada di morte.
Noi oggi iniziamo un viaggio. Questo viaggio si costella di memorie e di incontri. Le memorie sono quello che abbiamo vissuto già in passato come oratorio: ci sono animatori che rinnovano per più volte il loro impegno, altri che iniziano. È la memoria di incontri che hanno cambiato un po’ il modo di pensare o comunque il modo di vivere le giornate. Ci prepariamo anche a nuovi incontri: nuovi bambini, nuovi animatori, un nuovo progetto. In tutto questo noi vogliamo avere come unico stile quello di piacere a Dio, di essere graditi a Dio. Allora potrà anche essere che qualche volta non saremo in armonia, qualche volta guarderemo a un problema pensando a soluzioni diverse, qualche volta non sapremo apprezzarci per quello che siamo, qualche volta saremo in difficoltà, qualche volta non avremo tanta voglia di andare in oratorio, qualche volta penseremo che i grandi sono un ostacolo e non un aiuto. Se cerchiamo tutti quanti di piacere a Dio io sono certo che il nostro viaggio ci porterà a una meta sicura. L’augurio più bello che ci possiamo augurare è quello che si dice nella seconda lettura di Enoch, questo personaggio misterioso che ha però come caratteristica quella di essere gradito a Dio. Di lui non sappiamo nient’altro, ma questo è sufficiente perché lui non conosca la morte, non conosca quell’esperienza che ci fa stare lontano dal cuore di Dio.
Vi auguro allora di fare un buon viaggio. Ricordatevi che non si viaggia da soli e che la vita nella fede non è un viaggio in solitaria dove uno basta a se stesso.
Ieri sera abbiamo fatto un’esperienza bella di Comunità perché persone diverse si sono messe insieme per realizzare un progetto grande, che forse qualcuno ha guardato all’inizio con un po’ di sospetto e diffidenza. Insieme possiamo dimostrare che vivere nella fede ha origine qui, da questo altare e si dirama in ogni esperienza che dal Signore Gesù inizia, perché Lui la inizia e la porta a compimento.
Fin da ora la gratitudine del Signore per l’impegno di ciascuno, grande e piccolo che sia, per la fiducia dei genitori nei confronti di quell’esperienza che noi proponiamo come comunità cristiana; la gratitudine a tutti coloro che prima di noi hanno vissuto, proposto e creato l’oratorio. Il nostro modo di viverlo bene, con gioia, con rispetto, con accoglienza onora anche la loro memoria e fa in modo che prepariamo per altre generazioni un futuro bello. Non lasciamoci portare via la speranza e insieme, partendo dall’Eucaristia, possiamo creare relazioni buone, autentiche, vere, dove sempre di più prevalga la voglia, il desiderio, la forza di perdonarci. Verremo così all’altare con un dono gradito a Dio, sempre: la nostra stessa vita! 

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