26 giugno 2016 - VI domenica di Pentecoste


Dopo aver incontrato la figura di Abramo, l’amico di Dio, il Padre nella fede, colui che coglie l’intuizione profonda che sia un Dio unico da seguire, che attende pazientemente il compimento di una promessa che sembra così lontana da potersi realizzare - sia per la fragilità del suo corpo sia per il tempo in cui questa promessa viene donata ma non compiuta -, oggi ci fermiamo a contemplare un altro tratto del cammino del popolo d’Israele, questo popolo che con la guida di Mosè aveva lasciato l’Egitto per andare verso la terra promessa passando attraverso quel momento di salvezza così grande da diventare Pasqua del popolo d’Israele. Ancora oggi, infatti, essa è memoriale di un evento che ha cambiato la storia di un popolo: il passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. Una nuova alleanza dopo quella di Abramo, sancita sul Sinai attraverso tre segni: la consegna delle dieci parole - i dieci comandamenti; l’aspersione con il sangue - il sangue che è la vita; il banchetto degli anziani memoriale della Pasqua.
Dio pone la sua alleanza, ma non è un’alleanza come quella che costruiscono gli uomini che dura finché qualcuno non si tira indietro. La storia di Israele, anche se abbiamo ascoltato «faremo tutto quello che Dio dice», è una storia fatta di tradimenti, di fallimenti, di promesse mancate, tanto che qualcuno commentando l’antico testamento ha detto “l’alleanza di Dio con il suo popolo è sempre un ricostruire là dove l’uomo distrugge”.
Dio non si stanca. Continua a cercare il suo popolo. Quel sangue con il quale aveva sancito l’alleanza dice la vita, dice il desiderio di essere consanguineo con il suo popolo, di avere un rapporto così stretto come quello del sangue.
C’è poi questo sguardo sempre colmo di misericordia, di perdono. Dio arriverà a proporre la possibilità di accogliere l’alleanza attraverso un cuore nuovo e così la tradizione profetica ci consegna l’immagine del cuore rinnovato capace di accogliere l’alleanza di Dio. Quell’alleanza che noi troviamo compiuta in Gesù: «tutto è compiuto!». Gli uomini, che hanno ostacolato il progetto di Dio, trovano in Gesù l’uomo giusto che porta su di sé il peccato di tutti e attraverso l’effusione del suo sangue sancisce una nuova ed eterna alleanza. Non c’è più bisogno di sacrificare degli animali, non c’è più bisogno di sangue di capre o di agnelli: l’unico sacrificio è quello di Gesù, l’Agnello che viene sacrificato e in Lui è possibile vivere quell’esperienza che rinnoviamo in ogni Eucaristia. Qui diciamo “questo è il calice della nuova ed eterna alleanza, è il mio sangue versato per la remissione dei peccati, per tutti. Fate questo in memoria di me”: noi veniamo all’Eucaristia per rinnovare quell’alleanza, perché il desiderio di Dio di vivere in comunione con noi sia rinsaldato attraverso i gesti dell’Eucaristia.
Durante la Messa c’è un piccolo passaggio che nella lettera agli Ebrei è stato riportato: l’effusione del sangue nell’acqua, così come nel Vangelo. Al momento dell’offertorio i chierichetti portano all’altare due ampolline, dell’acqua e del vino, e il sacerdote le versa nell’acqua. I padri della Chiesa hanno letto in due modi questo segno: uno è il riferimento ai Sacramenti. C’è un film famoso sulla Passione di Gesù che racconta proprio di questo fatto: quando il soldato squarcia il petto di Gesù con la lancia viene inondato dall’acqua che esce dal suo costato, segno di quel battesimo che ha come suo fondamento il mistero dell’amore di Dio in Gesù Cristo. L’effusione dell’acqua e del sangue dal Corpo di Cristo come segno di sacramenti che prolungano la sua azione, la sua vita, nella vita della Chiesa.
C’è poi un’altra interpretazione: l’unione della natura divina e umana in Gesù Cristo così che tutti noi possiamo partecipare del mistero di Dio, tutti noi possiamo entrare in una sempre più profonda comunione con Dio. Nel canone III, nella preghiera eucaristica III, usiamo queste parole “e a noi che ci nutriamo del Corpo e del Sangue del tuo Figlio dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”. Veniamo all’Eucaristia per rivivere l’alleanza e per scoprire che questa nuova ed eterna alleanza è l’unica realtà che ci può accumunare, che ci può far sentire unione, al di là delle differenze che ci sono tra noi. La nostra vocazione di cristiani è proprio quella di promuovere un’unità nel Corpo di Cristo, nello Spirito di Cristo risorto.

Chiediamo allora al Signore di vivere così questa domenica, facendo memoria di un’alleanza antica che per noi si rinnova nel gesto di Gesù. La nostra partecipazione all’Eucaristia diventi il desiderio di una sempre maggiore comunione con Lui, riconoscendo che solamente questa paziente frequentazione della sua presenza ci permette di crescere in una maggiore consapevolezza del dono che abbiamo ricevuto. Spesso noi siamo distratti, ci dimentichiamo della grazia di Dio, della grazia a caro prezzo con la quale siamo stati salvati. Per poterne fare memoria abbiamo bisogno di alimentare quotidianamente questo momento che viviamo insieme. In questo ci aiuta lo Spirito Santo che prega in noi e per noi. Lasciamoci allora guidare da lui in questa settimana perché la memoria della Pasqua di Gesù che oggi rinnoviamo sia per noi fondamento di ogni scelta, di ogni pensiero, di ogni parola. Allora saremo testimoni tra coloro che incontriamo di questo amore che ora stiamo celebrando. 

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