10 luglio 2016 - VIII domenica di Pentecoste

Il desiderio di Israele di avere un re nasce dal confronto con i popoli che ha incontrato. Nelle diverse battaglie, guidate dai giudici che erano rappresentanti di una delle tribù, aveva sperimentato come spesso la forza degli avversari era legata all’unità che c’era dietro un unico uomo, il re appunto.
Inoltre i giudici non sempre sembravano all’altezza del loro compito così come ci viene detto dei figli di Samuele, quest’uomo giusto, autentico che però non ha dei successori degni. Quando Israele va da Samuele a chiedere un re, la reazione del profeta è quella di chi dice “questo popolo non vuole più seguire il Signore, i suoi comandamenti”. In realtà poi in questa obiezione di Samuele possiamo leggere quello che Gesù dirà nel Vangelo: «Voi sapete che il governato delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono». Anche Gesù si confronta con la realtà politica del momento in cui vive. L’oppressione dei romani è sempre più faticosa da portare, l’attesa di un messia che sia anche un condottiero politico è molto più forte. La domanda che viene fatta dai servi dei farisei è molto tendenziosa «dobbiamo essere collaboratori dell’imperatore oppure dobbiamo fare una rivoluzione?». Sappiamo bene che al tempo di Gesù c’erano alcuni che guadagnavano dalla presenza dei romani, come i pubblicani, i sadducei, e altri che invece volevano risolvere la questione con la forza, come gli zeloti.
Gesù non entra in merito alle questioni politiche ma indica una strada. Innanzitutto, «rendete a Dio quello che è di Dio». Il Vangelo ha come unico desiderio, perché è l’unico desiderio di Gesù Cristo, che l’uomo sia salvo. Salvato significa che sia in comunione con Dio già ora, per esserlo poi completamente nell’eternità. Tutto quello che allora l’uomo può fare, tutto ciò che è nelle sue possibilità, ha come finalità quella di far venire il regno di Dio e di vivere in comunione con Dio.
«Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità»: così abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Quando parliamo di una volontà di Dio che sia universale diciamo proprio questo, che non c’è nessuno che può essere escluso dal progetto di Dio di una vita che sia in comunione con Lui. Gesù non vuole porsi come un capo politico, come uno che guida una fazione contro un’altra ma come colui che, poiché il suo regno non è di questo mondo, si propone come Via, come Verità, come Vita per ogni uomo.
Gesù insegna a rispettare coloro che sono capi e Paolo fa eco a questo insegnamento invitandoci alla preghiera: «si facciano domande, suppliche, preghiere, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio». Non allora un conflitto tra quello che noi chiamiamo un potere temporale e un potere spirituale, ma un servizio, un rapporto reciproco perché sia promosso l’uomo in ogni sua modalità di essere e di vivere.
Così la Chiesa nel Concilio Vaticano II diceva: la chiesa di Cristo è come un sacramento, un segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. Quindi la vocazione di essere nella Chiesa non è quella di dividere ma di promuovere il bene di tutti, la vita di tutti, attraverso la giustizia, la solidarietà, il rispetto per ogni persona. La Fede, quella che ci accomuna qui oggi ha come compito quello di spingerci per il bene di tutti.
Nel suo linguaggio magisteriale, la Chiesa parla di carità politica, dove questa parola non può essere legata solamente ad aspetti negativi ma dice come tutto quello che noi compiamo ha un risvolto politico: l’essere qui oggi, quello che scegliamo quando andiamo a fare la spesa, quello che guardiamo alla televisione. Il nostro agire è politico perché ci mette in relazione ad altri e questa relazione può essere buona oppure no, dipende da quello che scegliamo. In questo tempo di confusione, quando spesso si sottolineano i limiti della politica o degli uomini che fanno politica, sentiamo l’urgenza di una maggiore spiritualità che non significa voler far diventare legge il Vangelo ma vogliamo che il Vangelo ispiri il nostro modo di stare insieme. Così solo la Chiesa può essere anima di quel mondo nella quale è inserita e per la quale sente la vocazione di essere madre.
«Rendete a Cesare quello che è di Cesare»: è un impegno concreto, perché l’agire politico fa parte del nostro modo di essere, non è il fine ultimo ma è uno strumento importante. La politica, lo sappiamo bene, deve essere in funzione dell’uomo, a servizio della sua crescita e della sua libertà perché realizzi pienamente la sua vocazione anche la sua vocazione al soprannaturale, quello che non è misurabile attraverso le leggi e la ragione.

In questi ultimi cento anni, la Chiesa ha elaborato una Dottrina Sociale che si fonda su principi che sono condivisi anche da molti non credenti, da molti che dicono di avere una visione laica della vita: il bene comune, la sussidiarietà, la solidarietà, il rispetto per la persona sono elementi decisivi di un insegnamento che accompagna la storia di questi decenni. Ma forse molti cristiani non conoscono questa Dottrina, non leggono i testi che illustrano questo modo di vivere queste relazioni tra di noi. Senza andare alla prima enciclica del 1891, cento anni dopo San Giovanni Paolo II scrisse la Centesimus Annus dove troviamo tutte quelle parole che descrivono il mondo come lo vorremmo vivere, troviamo quelle indicazioni di percorso che dicono come potrebbe essere il nostro vivere insieme, come dovrebbe essere l’impegno di coloro che sono chiamati al servizio di tutti attraverso il guidare, il comandare, il governare. Non possiamo noi dire “la politica è affare di altri” e sempre stare dalla parte di chi giudica, di chi condanna. Guidare è sempre difficile. Chi di voi ha una responsabilità su altri sa che non è mai facile, a partire dalle relazioni quotidiane come quelle della famiglia, per poi arrivare ai compiti di direzione all’interno del mondo del lavoro. Guidare non è mai facile e più uno è esposto più ha possibilità di sbagliare ma anche di fare molto bene. Tutti siamo chiamare a sostenere, ad aiutare attraverso la rettitudine delle nostre scelte, attraverso quell’onestà di cittadini che ci permette di stare di fronte anche a coloro che guidano con la coscienza di poter dare un’indicazione, si sostenere coloro che fanno bene il bene.
Ci è chiesto di essere sempre di più protagonisti della nostra vita quotidiana e del nostro agire in mezzo agli altri, con altri, per il bene di tutti. Non possiamo basarci solo sul buon senso, sulle convenienze, su quello che viene gridato con più forza dal più forte di turno. Abbiamo bisogno di una formazione che abbia a cuore il Vangelo e quel Magistero della Chiesa che cerca di declinare.
La conoscenza degli insegnamenti che la Chiesa ci offre ci permette di essere in questa società, in questa realtà, in questo contesto di vita quotidiana segno e presenza di Dio. Continuiamo allora a pregare per coloro che hanno una responsabilità di guida, ma preghiamo anche per noi perché sappiamo essere sempre di più uomini e donne che attraverso lo stile della loro vita sostengano coloro che sono chiamati a governare perché insieme possiamo scegliere strade che ci permettano di essere sempre di più sale della terra, luce del mondo, lievito che fa crescere quel regno di Dio che celebriamo in ogni Eucaristia. 

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