23 ottobre 2016 - I domenica dopo la Dedicazione

La giornata missionaria mondiale è invito alla Chiesa a riflettere su che cosa significhi essere Chiesa missionaria, a riscoprire il fondamento della sua essenza di missione. Noi quando recitiamo il Credo diciamo di credere nella Chiesa come “Una, Santa, cattolica e Apostolica”. Cattolica, sappiamo bene, vuol dire universale. Apostolica significa che è fondata sulla missione degli apostoli, dei missionari del Vangelo
Comprendiamo bene che la missione non è il tentativo di aumentare il numero dei fedeli per avere un peso economico, politico nel mondo ma è risposta essenziale alla vita di Gesù poiché lui è il missionario, è colui che ha portato dal cuore della Trinità ad ogni uomo l’annuncio del regno di Dio e l’ha incarnato in sé, con la sua morte e la sua risurrezione la Chiesa - sposa di Cristo - non può che esserne missionaria.
Il fondamento e la radice della missione è proprio Gesù Cristo e noi dovremmo riscoprire questo legame profondo e non darlo per scontato. Solamente quando il legame con il nostro maestro, il Signore, è forte allora possiamo anche pensare a una vita che sia nella missione cioè che sia desiderio di comunicare ad altri quanto abbiamo vissuto e imparato. A volte l’impressione è che non abbiamo la percezione di avere un tesoro così grande e che in fondo pensiamo quello che va un po’ di moda in questo tempo e così uno fa, pensa, sceglie quello che vuole e rischiamo di tenere anche la nostra esperienza religiosa nell’ambito del privato, senza che disturbi nessuno.
Noi dal giorno del nostro Battesimo siamo mossi dallo Spirito e come Gesù diceva “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra come desidero che questo si propaghi nel mondo” così anche chi è di Cristo, chi è cristiano, non può non sentire il desiderio che la conoscenza di Gesù diventi esperienza per tutti gli uomini.
Ci viene in soccorso il Vangelo che ci parla di un evento che si colloca in un luogo particolare, la Galilea. Nella tradizione che abbiamo incontrato nel Vangelo, sappiamo che la Galilea veniva anche chiamata “terra delle genti” perché è una zona della Palestina che, a motivo delle rotte commerciali che andavano verso il nord o che da oriente andavano verso il mare, era diventata una zona attraversata da diverse culture e religioni, non erano solamente legate al giudaismo, così i giudei guardavano con grande sospetto a chi abitava in Galilea, tanto che Natanaele diceva “non può venire qualcosa di buono dalla Galilea” e poi una terra che era ricca a motivo della sua collocazione geografica ma era terra di passaggio. In questo tempo si ripropone la Galilea delle genti nella nostra Europa e anche se guardiamo con un po’ di diffidenza, di paura persone che hanno un’altra cultura e un’altra religione, non possiamo fermare la storia che è sempre stata attraversata da migrazioni importanti.  Così la missione ci chiede di metterci in un atteggiamento che è certamente quello di andare in altre terre, di mandare fratelli e sorelle che portino l’annuncio di Dio in ogni parte del mondo ma è anche quella di farsi carico di un annuncio che è rivolto a persone che vivono tra di noi. È sempre più importante imparare a custodire un’identità forte della propria esperienza di fede e della propria cultura non per contrapporsi a nessuno ma per essere capaci di rendere ragione della nostra speranza e della nostra fede. Non si tratta di imporre nulla e neanche di giocare in difesa ma quando io so che quello che vivo è per me vero ed è per me forte posso stare di fronte a tutti argomentando le ragioni della mia fede; ma se invece sono incerto, se non trovo mai il modo di argomentare l’intelligenza della fede, è possibile che di fronte ad altre proposte, ad altri modi di guardare la vita e anche a Dio, sia in difficoltà e non sappia stare di fronte agli altri con quella libertà e con quella franchezza che mi permette di essere capace di testimoniare la mia fede. Oggi non si tratta di avere timore di chi arriva, certo i problemi legati a questi fenomeni sono quelli che conosciamo bene, ma ci è data un’opportunità per essere capaci meglio di testimoniare la nostra fede.
Il Vangelo ci dice che anche gli Undici, coloro che avevano conosciuto Gesù e avevano ascoltato le sue parole, avevano visto i segni, avevano toccato con mano sua risurrezione, in quel momento dubitano. È un po’ la caratteristica anche del pensiero occidentale quella di porsi tante domande, di creare tante questioni alle quali si cercano risposte vere. Questa ricerca della verità è una caratteristica importante e che ci permette di non essere superficiali ma può anche diventare l’occasione per essere sempre un po’ inquieti e mai profondamente radicati. È allora decisivo che noi impariamo a custodire il cuore della missione che è Gesù Cristo. Fino a che non sarà così forte il legame con lui rimarremo sempre nel dubbio, rimarremo sempre attraversati da tante domande che invece che spingerci verso di lui, ci fermeranno. Spesso capita di sentire espressioni tipo “ma ci sarà davvero qualcosa?” “ma veramente quello che dice il Vangelo è buono, vero?”. Si tratta anche di avere il coraggio di mettersi a confronto con la realtà non ancorandosi sempre a un passato, magari anche glorioso o importante, ma mettersi nell’atteggiamento di chi trova strade nuove di dialogo, di accoglienza, di condivisione perché altrimenti possiamo essere molto legati alle tradizioni dimenticandoci che in realtà ciò che è decisivo è che ogni uomo possa incontrare Gesù, possa confrontarsi con lui e scegliere se stare con lui o contro di Lui, così come è dall’inizio della storia del cristianesimo.
Allora mentre preghiamo per tutti coloro che hanno una missione alle genti, per tutti coloro che sono partiti e vivono in paesi lontani per annunciare il Vangelo, coloro che sono in partenza in queste settimane, preghiamo anche per noi perché l’urgenza di essere missionari ci interroghi e perché quando diciamo il Credo per noi sia più vero quanto affermiamo quando diciamo “Credo la Chiesa come Una, Santa, Cattolica e Apostolica”. 

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