9 ottobre 2016 - VI domenica dopo il martirio di San Giovanni


Le parole ospitalità, accoglienza risuonano spesso in questo tempo.
Costantemente ci viene posto di fronte il grande tema delle migrazioni che ultimamente ci interessa di più perché ci riguarda di più. In realtà, lo sappiamo bene, le migrazioni non sono un fenomeno di questo tempo, hanno segnato la storia degli uomini da sempre. In questo momento, però, la domanda viene posta a noi perché sono molti coloro che bussano alle porte dei nostri paesi e ci chiedono accoglienza e ospitalità. Ma quando queste migrazioni riguardavano internamente i paesi dell’Africa, dell’Asia spesso noi ne eravamo come ignoranti e non ne sapevamo nulla. Ora questo tema ci provoca e ci chiede delle risposte. I continui messaggi che riceviamo poi dai mezzi di comunicazione di massa non ci aiutano a oggettivare il problema, mettono nel cuore più ansia e paura. I fatti di cronaca vengono sottolineati con maggiore intensità se riguardano gli stranieri e pertanto cresce sempre di più il disagio; il timore che ci portino via quello che faticosamente abbiamo conquistato, quel benessere che cerchiamo di difendere con tutte le nostre forze. In realtà non possiamo pensare assolutamente di essere capaci di ospitalità verso chi è diverso per cultura, per lingua, per appartenenza religiosa se non riusciamo ad allenare la nostra disponibilità ad essere accoglienti e ospitali verso chi ci sta attorno. E così tante volte ci rendiamo conto come è difficile accogliere chi è del tuo paese, chi vive accanto a te. Come a volte anche l’appartenere a un’assemblea come questa, chiamati a celebrare insieme l’Eucaristia, non sia sufficiente per superare divisioni, barriere a volte create nel tempo da consuetudini per le quali non sappiamo neanche il perché. Per poter dare una risposta diversa da quella di chi alza muri, oppure protesta o manifesta unicamente paura, io credo che il primo esercizio da compiere è quello di ricominciare ad avere un atteggiamento di accoglienza e di ospitalità verso chi ci sta attorno, partendo da un presupposto che è quello della stima. Chi mi sta accanto non è un nemico, non è un avversario, non è un concorrente: incrocia la mia vita, la mia storia e ne domanda conto e io nella misura in cui sono capace provo a rispondere, provo a dire la mia volontà di essere una persona aperta, accogliente e ospitale oppure no.
Dalla tradizione popolare ci vengono espressioni che dicono che accogliere spesso costa fatica, è un atteggiamento che porta sacrificio, cioè rende sacro il tempo, il denaro che offriamo, le energie migliori che diamo. Il continuare a donare però questo tempo, noi stessi, è l’atteggiamento positivo perché, come dice la Lettera agli Ebrei, alcuni senza saperlo hanno accolto dei santi. Così può accadere che la manifestazione della gratitudine di Dio per un atteggiamento positivo del cuore non avvenga in modo immediato e che spesso uno senta una frustrazione per aver aiutato e non essere stato ricambiato ma, senza che lo mettiamo in conto, senza saperne il tempo, Dio manifesta la sua gratitudine per questa disponibilità.
Qualcuno potrebbe dire “ma che cos’è la nostra azione nei confronti di una realtà così straordinariamente grande?”. Ci viene in soccorso la vita di coloro che ci hanno preceduto nel cammino della fede e della santità. Così sappiamo bene che Madre Teresa, pur avendo iniziato un’opera che continua ancora adesso dopo la sua morte, era consapevole di non poter risolvere il problema di tutti poveri e i miserabili di Calcutta, ma spesso quando accompagnava i moribondi si sentiva dire così: “Madre noi non conosciamo il volto di Dio di cui tu ci parli, ma se Lui è come voi, che si prendono cura dei moribondi, degli abbandonati, dei disprezzati, allora crediamo che valga la pena avere fiducia in un Dio così”. La possibilità che il Volto di Gesù Cristo risplenda ancora tra di noi sta nella nostra volontà di vivere la fede in modo concreto, più esigente, più autentico. Solamente con questo stile potremo diventare maggiormente corresponsabili di quell’opera che avviene quotidianamente nella chiesa, nella comunità civile di attenzione verso coloro che sono più nel bisogno. È necessario crescere nella stima anche di coloro che sono chiamati ad essere guide. Ricordatevi dei vostri capi. Spesso noi sottolineiamo soprattutto i limiti, gli errori, quello che non corrisponde a quello che avremmo pensato o fatto noi, dimenticandoci della responsabilità che comporta guidare una comunità, dover fare delle scelte che sono difficili proprio perché riguardano problemi che talora sembrano troppo grandi. C’è una corresponsabilità che si dà nel fatto che ciascuno è chiamato a dare il meglio di sé e ci viene incontro il Signore che ci dice che a volte basta un bicchiere d’acqua, che significa che non dobbiamo pensare di fare cose straordinarie, di cambiare il mondo ma di operare in quella frazione di mondo che è il nostro, che è la nostra vita quotidiana. Nel momento in cui tutti ci mettiamo nella disponibilità di fare bene quello che possiamo fare noi diamo un segnale oggi della presenza di Cristo, che è sempre con noi, ieri oggi e per sempre. È il significato autentico di essere qui questa sera: ascoltare parole che ci incoraggiano all’amore e vivere i gesti dell’amore.
Chiediamo al Signore, allora, che l’effusione dello Spirito Santo che hanno vissuto i nostri ragazzi oggi ci ricordi che siamo anche noi abitati dallo stesso Spirito, che siamo uomini e donne spirituali perché lo spirito di Dio agisce in noi e che attraverso di noi è possibile che oggi il Volto di Dio risplenda e che il Regno di Dio si compia. 

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