15 gennaio 2017 - II domenica dopo l'Epifania


Una nuova manifestazione, una nuova epifania quella che è raccontata nell’episodio conosciuto come “Le nozze di Cana”. Subito questa parola epifania ci rimanda al tempo che abbiamo appena concluso del Natale, tempo nel quale Dio in Gesù Cristo si è fatto visibile, si è manifestato. Così anche il racconto di oggi ci parla di questa volontà del Padre di rendersi visibile attraverso il Figlio.
Questo primo segno, questo primo miracolo che Giovanni racconta ci rimanda già a quel compimento glorioso che sarà la croce di Cristo e la sua risurrezione, tanto che abbiamo ascoltato “egli manifestò la sua gloria” dove ‘gloria’ è proprio questo compimento per noi incomprensibile della vita di Gesù: la sua morte e la sua risurrezione. Non capiamo perché attraverso questo segno, eppure quanto avviene in quel giorno a Cana già rimanda all’evento della croce. L’acqua che diventa il vino ci rimanda a quel segno che accade proprio alla morte di Gesù: il cuore squarciato di Gesù fa sgorgare dal suo petto sangue e acqua, ha appena donato lo Spirito, consegnato lo Spirito e ciò si manifesta visibilmente anche in questo segno dell’acqua. Un’acqua che non è più solo per la purificazione, come era stato nel battesimo di Giovanni, come è in questa festa dove le giare d’acqua servivano per lavarsi prima di prendere cibo, secondo un rituale che veniva osservato in maniera meticolosa. L’acqua non più per una purificazione e una disposizione del cuore al cambiamento ma l’acqua come Spirito Santo, possibilità di riconoscere in Gesù il Volto di Dio, di ricordare quello che Lui ha fatto e la possibilità di riviverlo nella nostra esistenza. Così già nel deserto il popolo di Israele che vaga e non sa dove andare - non ha l’acqua e non può vivere -, si lamenta con Dio e con i suoi capi e dalla roccia sgorga l’acqua; la roccia che è Cristo ci dona lo Spirito. Così il cammino può continuare fino alla Terra Promessa, fino al compimento della propria vita. Questa presenza dello Spirito che è in tutti noi che siamo uomini e donne spirituali, che viviamo una vita nello Spirito - che non significa una vita campata per aria ma una vita abitata da Dio -, agisce in noi, è maestro interiore e nella misura in cui lo lasciamo agire e ci facciamo condurre da lui possiamo sempre di più comprendere il volto di Dio che in Gesù Cristo continuamente si rivela. Per questo veniamo all’Eucaristia, perché abbiamo bisogno di risentire sempre una parola, di rivivere un gesto che ci riporta all’essenziale, al fondamento della fede. La Messa quindi non tanto come un dovere ma come una necessità, un’urgenza perché senza l’acqua non si può vivere, senza lo Spirito non si può vivere. Uno Spirito che si muove dentro di noi ma che a volte facciamo fatica ad accogliere, a custodire perché la vita a volte ci presenta dei passaggi difficili. In questi giorni abbiamo salutato dei fratelli che hanno compiuto la loro vita: ogni volta che dobbiamo lasciare andare qualcuno facciamo fatica, anche quando si tratta di persone che hanno vissuto molti anni perché si tratta di relazioni buone, di persone che ci hanno insegnato a vivere, di uomini e donne che ci hanno dato il bene e attraverso le quali abbiamo sperimentato il bene, persone che abbiamo amato e dalle quali siamo stati amati. È sempre difficile lasciare andare qualcuno, in questi giorni la nostra Comunità è stata toccata dalla morte improvvisa di un giovane e questo genera domande, inquietudine. Non sappiamo che cosa chiedere, che cosa dire. Lo Spirito Santo ci viene in soccorso perché dentro di noi prega per noi, con noi, per noi, ci indica la strada, la via e nella misura in cui davvero la nostra vita è abitata dalla sua presenza, dalla misura in cui ci lasciamo ammaestrare da lui, allora possiamo stare anche nella più grande difficoltà non senza dolore, non senza fatica, ma non pensando che quello è il fine di tutto. C’è una gloria che passa attraverso la croce e diventa risurrezione; c’è un cuore squarciato dal quale esce sangue e acqua ma un cuore dove tutti possono trovare casa.
È lo Spirito che ci permette di avere un modo diverso di guardarci e di guardare la realtà. Viviamo oggi la Giornata per i migranti e i rifugiati. Non è la prima giornata - non è che siccome siamo in emergenza la Chiesa inventa questo momento per dire “fate attenzione” -, siamo alla 104° giornata per i migranti e i rifugiati: significa che già cento anni fa la migrazione era un tema che ci riguardava. Questa giornata venne istituita perché i migranti eravamo noi, perché erano tanti italiani che lasciavano questa terra per andare a cercare lavoro, casa in altri paesi e per stare vicini a loro la Chiesa istituì una commissione che si occupasse di loro. Oggi il Papa ci invita a tenere in considerazione in modo particolare i migranti e i rifugiati minorenni, quelli che arrivano nel nostro Paese e nell’Europa non accompagnati, senza genitori, senza nessuno che si prenda cura di loro. Spesso questi ragazzi che hanno l’età dei nostri ragazzi, dei nostri giovani vengono sfruttati, cadono in mano alla criminalità, vengono usati; tanti spariscono, non si sa più niente di loro, non hanno volto, non hanno storia, non hanno nome. In questo tempo ci sono molti giornalisti, tuttologi che continuano a riempirci di parole e di paura, ci fanno guardare alla migrazione come a qualcosa che è una minaccia - “vengono a portarci via il nostro” - e noi ci dimentichiamo che la nostra fede, quella che ci porta qui questa sera, è una fede che inizia con una migrazione: Abramo va verso una terra che non conosce, poi le tribù di Giacobbe vanno verso l’Egitto e poi dall’Egitto ancora, vagando per il deserto, fino alla terra promessa. Ci appartiene questa storia di migranti e tanti di noi potrebbero raccontare la propria storia, fatta di esperienze così. Dobbiamo allora cambiare lo sguardo: non può essere un’informazione che continua a sottolineare solamente il negativo che forma il nostro modo di pensare, di volere e di agire. Certo non possiamo risolvere i problemi di tutti, ma nessuno ce lo chiede. Ma invece di dire come molti, “rimandiamoli a casa loro” proviamo a pensare se anche come Comunità Cristiana, se anche noi non possiamo aprire qualche porta, se anche noi non possiamo avere qualche spazio perché qualcuno dei nostri fratelli trovi casa, fiducia, speranza.
Infine, iniziamo in questa settimana la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Cinquecento anni fa avvenne quell’ulteriore spaccatura che divise i cristiani con la riforma luterana. Ci ritroviamo dopo cinquecento anni a provare strade di riconciliazione, sono strade impegnative e difficili ma possibili; il Papa ce l’ha mostrato con il suo viaggio in Svezia. I tempi non sono immediati ma noi possiamo guardare con fiducia alla possibilità che coloro che dicono di essere cristiani, di credere nel Dio di Gesù Cristo possano valorizzare di più quello che hanno in comune piuttosto che far diventare legge quello che li divide. È la preghiera che rivolgiamo al Padre nello Spirito perché sempre di più il Corpo di Cristo si ricomponga in unità e perché quanti si riconoscono nel nome del Dio di Gesù Cristo possano fare esperienza viva di uno Spirito che li spinge ad essere testimoni solidali di uno mondo nuovo, quello che Gesù ci ha mostrato, quello che passa attraverso il fatto che noi sappiamo fare quello che Lui ci dice. Così anche un gesto che appare banale, come riempire delle anfore d’acqua, può diventare premessa per un’esperienza di gioia, di bellezza e di bontà che non ha fine. 

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