19 febbraio 2017 - V domenica dopo l'Epifania


«Neanch’io ti condanno. Va’ ed ora in poi non peccare più». Se ci fermiamo solamente a questa espressione ci viene da dire “c’è qualcosa che non va, Signore. Se uno sbaglia deve pagare. Se c’è una legge va osservata”. Ma se noi ascoltiamo bene il racconto, ci rendiamo conto da dove arriva questa conclusione, scopriamo che il modo di guardare di Gesù non è quello di chi vuole scavalcare una legge o di chi dice che tutto va bene, ma è di chi vuole mettere al centro la persona, non la legge.
Così Gesù si trova nel tempio, sta insegnando e i suoi nemici, quelli che non erano d’accordo con il suo modo di fare, di dire, col suo modo di compiere segni che lo rendevano così famoso al popolo, portano una situazione molto particolare davanti a lui e chiedono il suo giudizio. Abbiamo ascoltato «lo facevano per metterlo alla prova e per avere un motivo per accusarlo». A quegli uomini non interessava niente di quella donna: né chi fosse né il suo nome né la sua storia né perché era in quella condizione… a loro interessava solo usarla per fare del male a Gesù. Gesù cambia lo sguardo: per lui quella donna non è una donna cattiva, una donna brutta, da rifiutare, da uccidere. È una donna. E dice agli altri, a tutti - anche a noi, facili al giudizio, facili a gettare pietre contro chi sbaglia -: «chi è senza peccato scagli la prima pietra» e abbiamo ascoltato che sono gli anziani ad andare via per primi, perché quando uno diventa saggio sa bene che la sua vita non è così innocente da poter giudicare gli altri senza remissione, senza clemenza. Così rimane Gesù con quella donna, da soli e le dice “Io non ti condanno ma da ora in poi tu cerca di non fare più gli errori di prima”. Certo, c’è una legge ma la legge è a servizio dell’uomo. Gesù è venuto a dirci che la legge data da Dio è buona se è a servizio dell’uomo, ma se la legge diventa più importante dell’uomo il rischio è quello di fare del male all’uomo. Gesù non ci dice che tutto quello che facciamo va bene, gli errori sono errori e creano delle conseguenze, che a volte paghiamo personalmente, l’invito è quello a non sbagliare più, a non fare più gli errori. Non veniamo giustificati senza nessun tipo di fatica. Anzi, per essere perdonati in questo modo Gesù ha dato la sua vita per noi e ci ha lasciato un segno, l’Eucaristia, che ci permette ogni volta che veniamo qui all’altare di rivivere quel gesto d’amore. Ma perché noi comprendiamo questo abbiamo ricevuto anche un altro dono: la possibilità di chiedere perdono. Nella forma della richiesta di perdono che abbiamo vissuto all’inizio della Messa, come facciamo ogni volta che all’inizio dell’Eucaristia chiediamo perdono con quelle formule in cui ripetiamo Kyrie eleison, parole che significano “Signore, abbi pietà di noi”. C’è poi un altro modo in cui chiediamo perdono, il Sacramento della Confessione. Confessare vuol dire “dire con forza”, tanto che ci sono alcuni che noi chiamiamo “santi confessori della fede” che non sono i santi che ogni giorno si confessavano ma sono coloro che per la loro fede sono stati coraggiosi nel dire che loro credevano a Gesù, non hanno ricevuto il martirio e sono però riconosciuti come forti, perché hanno detto la loro fede anche quando era pericoloso.
 Il cardinal Martini ci ha insegnato un modo con il quale confessarci: innanzitutto, quando vai a confessarti devi confessare la gioia, la lode. Ricordati, cioè, che tu nella tua vita hai sempre qualche motivo per rendere grazie, per cui ringraziare. Signore, ti ringrazio perché mi hai dato la vita, la vita nella fede, mi hai dato una famiglia, degli amici…. Posso mangiare, bere tutti i giorni.. Sono intelligente. Poi, confessare la vita: Signore, io so che tu sei buono ma qualche volta mi dimentico di questo e ti chiedo perdono. Il cardinal Martini diceva che non basta chiedere perdono dicendo “mi pare che sia giusto o sbagliato”, ma bisogna ascoltare prima quello che dice il Vangelo e poi si saprà scegliere, si potrà capire cosa è giusto e sbagliato. Infine, confessare la fede: Signore, io credo che con il tuo aiuto posso cercare di non peccare più. Mi impegno ed è il proposito che scegliamo con il confessore.  Troviamo questo nella Prima Lettura, dove Baruc - un profeta - dice “ti ringrazio Signore perché tu hai voluto bene al nostro popolo, ma devi avere pazienza con noi perché abbiamo peccato ma non ti preghiamo: liberaci dall’oppressione”. Anche noi allora sentiremo questa parola, che è espressione della clemenza di Dio «Neanch’io ti condanno. Va’ ed ora in poi non peccare più».
Questa buona notizia dobbiamo tenere nel cuore, custodire e chiedere al Signore che ci accompagni nel cammino della fede con il coraggio di chiedere di più il perdono, di non aspettare solo qualche occasione speciale. Noi non portiamo gli stessi abiti tutti i giorni per tantissimo tempo; anche l’abito della nostra fede ogni tanto ha bisogno di incontrare Colui che l’ha disegnato, tessuto, perché lo sistemi un po’, lo metta un po’ a posto. Nel giorno del Battesimo abbiamo ricevuto una veste bianca che facilmente si sporca e proprio in quel giorno ci è stato detto “A voi il compito di tenerla pulita”. Quell’immagine, che dice anche la nostra vita, ci chiede di avere il coraggio di chiedere più spesso perdono. Allora sarà una gioia sentire «Io ti condanno. Va’ e non peccare più».

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