2 luglio 2017 - IV dopo Pentecoste


C’è una questione che possiamo definire “l’eterno enigma del male” che l’umanità porta dentro di sé; è un conflitto interiore che ogni uomo che ha ragionevolezza si pone: non solo l’origine del male ma il fatto che si ponga in quella realtà buona, meglio, in quella realtà che Dio, avendola creata, giudica molto buona, la Creazione. C’è poi un male che non riusciamo proprio a giustificare, tanto che non ci sembra proprio centri con l’opera dell’uomo, tante volte in questo tempo si parla molto di squilibri climatici che sono il frutto del comportamento sconsiderato dell’uomo; ma alcune volte, davanti a certe catastrofi, a situazioni che colpiscono sempre di più deboli, i più poveri rimaniamo senza parole e tiriamo subito in gioco Dio, il Creatore: perché tutto questo?
Sono molto quelli che pensano - anche tra i cristiani - che alcune volte certi eventi catastrofici siano conseguenza del nostro male e pertanto Dio punisce attraverso interventi devastanti. Purtroppo alcune volte, anche recentemente, alcuni presbiteri e alcuni uomini religiosi hanno usato questa interpretazione di eventi che hanno colpito anche il nostro Paese. Ma noi abbiamo una Parola a cui ritornare, abbiamo la rivelazione nella Parola di Dio a cui far riferimento e Dio ci dice che Lui non è questo giudice inflessibile che condanna le creature con la sua forza, ma che continuamente cerca la salvaguardia della vita. Così, mentre minaccia questa volontà di distruggere tutti, cerca un uomo che sappia custodire il progetto buono fin dalla creazione disegnata nel suo cuore. Noè viene scelto tra quegli uomini che appaiono tutti traviati, perduti, non va a cercare una divinità, una creatura perfetta ma cerca tra gli uomini. Quel disegno buono, quel disegno molto buono che è scritto nella Creazione è ancora valido: anche se tutto sembra brutto Lui va a cercare ancora lì e affida a Noè un compito, quelli che sono intorno a lui possono vedere, possono domandare, possono cercare di capire. Quell’arca, questo segno di salvezza, che rappresenta poi nelle interpretazioni successive la Chiesa, è uno strumento visibile a tutti, non è un’opera nascosta a ricordarci che costantemente Dio cerca in noi quella scintilla di divinità che ci rende uomini viventi, perché quella Creazione che abbiamo contemplato domenica scorsa è animata dallo Spirito di Dio e non c’è nulla che noi possiamo fare per cancellarla. Possiamo dimenticarcene, possiamo fare finta che non ci sia ma non possiamo cancellarla. Quando ci accade di entrare in quella sintonia con il Creatore, di riaprire il cuore all’incontro con Lui allora scopriamo che la nostra vita non può essere solo mangiare, bere, piantare, costruire…. C’è qualcosa di più!
Il credente in Cristo, il credente nel Dio di Gesù Cristo sa che la vita è questa quotidianità ma che viene vissuta con uno stile completamente nuovo, quello dello Spirito di Cristo, dello Spirito del Risorto. Così l’uomo, che è soggetto ai suoi limiti e alle sue fragilità, può scegliere di essere ogni giorno protagonista della sua vita quotidiana come colui che partecipa alla creazione di Dio. Lo sanno bene i genitori; i papà e le mamme sanno come questo partecipare alla creazione avvenga anche nella fisicità del corpo e nel prendersi cura di chi hai generato alla vita; poi tutti noi ci rendiamo conto che possiamo costruire o distruggere, creare o demolire. Tutti noi lo possiamo  fare scegliendo una strada, quella della vita quotidiana che si dà in quegli atteggiamenti che ci ricorda Paolo, perché sono il frutto dello spirito. Innanzitutto l’amore, una parola inflazionata che tutti cantano, tutti ne parlano ma noi crediamo non in un amore generico ma nell’amore di Gesù Cristo, un amore che arriva dalla vita, quello che noi raccogliamo ogni volta che facciamo il segno della croce, ogni volta che parliamo dell’amore. L’amore per noi non è diverso dall’amore della croce. C’è un amore totale, senza limiti, senza confini. E poi la gioia, che capiamo bene per noi non può essere legata al partecipare a un concerto oppure a vivere una bellissima vacanza oppure a fare un’esperienza straordinaria. Per noi la gioia è un atteggiamento del cuore, che non significa andare in giro con un sorriso ebete sulla faccia perchè le fatiche ci sono, perchè i problemi ci sono, ma di chi sa che la vita, anche nelle sue fragilità e nelle sue fatiche, è un’opera molto buona e di questo può gioire. Poi pace, pace che sappiamo bene è la somma di tutti i doni di Cristo Risorto, tanto che il primo saluto che offre ai suoi amici è «pace a voi». Pace che è la somma di tutti doni del Messia, che non è solamente assenza di conflitto; la pace è scegliere di stare in comunione con Lui, nella consapevolezza che quando io scelgo questo, certo avrò sempre dei nemici - Gesù ce lo mostra - ma sarò un uomo che lascia un segno in questa umanità, che sembra così lontana dal suo progetto originario ma che sempre è guardata con uno sguardo buono dal Creatore. Poi la magnanimità, avere una grande anima. Questo era il nome scelto per grandi uomini come Gandhi, un uomo che ci affascina per la sua spiritualità. Grande anima, che vuol dire che uno scopre che la vita non può essere solamente cose perchè le cose non ti abbracciano, ma che la vita è di più, è qualcosa che si rinnova e si rigenera ogni giorno. Poi il volere il bene, la benevolenza. In ogni cosa scegliere il bene, come principio assoluto, sapendo bene di dover fare i conti con il male che ci circonda, con il male dentro di noi, con l’incapacità di essere tenaci, fedeli. Ma se io parto con questa volontà….. Ancora, la bontà: tante volte questa virtù viene considerata dei deboli, “uno che è buono è fesso” perchè lo ‘fanno su’ tutti, ma invece quando troviamo un uomo buono ci dilata il cuore, ci dà pace e ci fa vedere la realtà con gli occhi di Dio. Poi la fedeltà: com’è difficile parlare di fedeltà in questo tempo, non solo quella volgare che viene usata per giocarci sopra. La fedeltà è un impegno alla parola, al lavoro, all’amicizia. Ancora, la mitezza: l’uomo mite non è un debole, non è uno che si fa su così. Gesù è mite, sta di fronte a chi lo percuote non con orgoglio ma con la consapevolezza di valere. Il mite è un uomo che ha coscienza del bene che è, del valore che ha e per questo non ha paura, non si nasconde. Poi il dominio di sé, che è la via maestra per lottare contro ogni forma di tentazione, che ci viene data perchè noi scegliamo da che parte stare, quale strada percorrere.
Chiediamo al Signore oggi di aiutarci a guardare la realtà del mondo che ci circonda come la guarda lui, di guardare a noi stessi come ci guarda lui e di provare a vivere nello Spirito di Dio, nello Spirito che Cristo Risorto ci ha donato. Allora io sono certo che qualsiasi cosa faremo, qualsiasi cosa vivremo noi potremo sentire che quello che facciamo contribuisce alla bellezza della creazione fa in modo che il progetto buono di Dio non venga mai meno. Con questa fiducia continuiamo a celebrare l’Eucaristia e ad accogliere l’amore che ne è fondamento. 

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