8 ottobre 2017 - VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni


Non sono mica una serva!” Così a volte qualche mamma o qualche nonna può sbottare di fronte ai modi pochi gentili di chi usa del tempo, delle capacità o della disponibilità. Oppure un lavoratore, un uomo potrebbe dire “mi tratta come uno schiavo il mio datore di lavoro”. In queste due espressioni comprendiamo come questa parola servo, anche se nella Liturgia e nel Vangelo ritorna tante volte, non è che ci piaccia molto. Essere trattati come dei servi… perché il servo è colui che compie quanto gli viene detto, deve stare in silenzio e farlo e basta. Non può ribellarsi, non può dire le proprie ragioni.
Comprendiamo bene che se questa parola ci piace poco, ci piace poco anche la prospettiva che essere discepoli di Gesù significa essere dei servi, perché il primo a servire è proprio lui. Si dice di Gesù che è “colui che è in mezzo a servire” e ai suoi discepoli, che si domandano quale fosse il più grande tra di loro, dice “imparate da me, che sono il Maestro. Io che lavo i vostri piedi mi metto al vostro servizio. Se volete essere come me non dovete fare altro che imitarmi”. Comprendiamo bene davvero la nostra resistenza a servire, comprendiamo bene che quando un uomo e una donna intuiscono invece quale grande ricchezza e libertà di cuore ci sia nel mettersi a servizio per amore di Dio nei confronti dei fratelli, tutto ciò che sembrava essere un’umiliazione diventa occasione per dare il meglio di sé, per dimostrare e manifestare la larghezza e la grandezza del cuore, per avere la capacità di porre nei propri gesti una delicatezza, una tenerezza, una capacità di accoglienza che cambiano situazioni che sembravano essere indurite, oppure mettono pace laddove c’era discordia.
L’immagine del servo ci viene in aiuto per domandarci Che tipi di discepoli vogliamo essere del Signore? Veniamo all’Eucaristia, ed è cosa buona, perchè vogliamo imparare da Gesù le sue parole e i suoi gesti, ma l’Eucaristia ci riporta sempre all’Ultima Cena e al momento più alto della sua morte sulla croce. Gesù nell’ultima cena si mette al servizio dei suoi discepoli, si mette a lavare loro i piedi, gesto che era attribuito agli schiavi, i quali non avevano diritti se non mangiare e bere per poter essere in forze e poter svolgere il loro servizio. Lava i piedi a tutti, anche a Giuda, anche a colui che lo sta per consegnare alla sua morte. In quel gesto dice ai suoi amici qual è la strada, qual è la via perchè si possa essere come lui. Sulla croce muore come gli schiavi, come coloro che non hanno nulla, nemmeno un vestito, oggetto del ludibrio, dello scherno di tutti. A noi non è chiesto di vivere tutto quello che Gesù ha vissuto, ma ci è chiesto di vivere come Gesù ha vissuto. Per tanto essere al servizio è una caratteristica che dovremmo sentire nostra, del nostro essere amici e discepoli di Gesù. Ciascuno di noi già vive questa esperienza: all’interno delle nostre famiglie, sul lavoro… ma quando incontriamo qualcuno che vive con questo spirito la propria vita - cioè mettendosi al servizio - non solo sentiamo di poter contare su di lui ma porta nella nostra vita una novità, la gratuità, come quella di Gesù che «non considerò come un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma divenne come gli uomini, in mezzo a loro, come colui che serve».
Oggi vogliamo allora chiedere al Signore che ci aiuti a guardare la nostra vita con la possibilità che sia un dono gratuito, che siamo più lieti di quello che facciamo anche quando qualcuno non lo riconosce, che siamo contenti del nostro metterci in gioco, di donare tempo ed energie anche quando ci sembra che sia inutile o che tutto quello che facciamo non porti a nessun successo. Se pensiamo a Gesù, che è il nostro modello, chissà quante volte l’avrà pensato: tutto questo amore, tutti questi gesti di liberazione, di guarigione, tutte queste parole che scaldano il cuore dove vanno a finire se i miei amici nel momento più importante si domandano chi sia il più grande?! Se sotto la croce non c’è nessuno di coloro che sono stati guariti, aiutati… Allora noi, che abbiamo Lui come modello, non abbiamo tanto la preoccupazione di vedere i frutti ma di avere la pazienza del contadino che continua a dissodare la terra, a curarla, a seminarla, sapendo che il frutto verrà anche quando lui non se ne accorge. Questa libertà di cuore, questa disponibilità ci permette di assumere anche degli incarichi nella nostra comunità, nei luoghi della vita pubblica senza il bisogno di sentirci padroni o senza pensare di essere noi indispensabili. Ci danno la libertà di metterci al servizio per il tempo, per le condizioni che ci vengono chieste, per poi tirarci indietro e lasciare il posto ad altri perchè anche qualcun altro possa vivere la stessa esperienza. Sappiamo bene che quando riusciamo a donare con tutto il cuore, anche se immediatamente ci sembra di dare tanto tempo, tanta energia, tanto di noi stessi, se lo facciamo con libertà di cuore ci torna tutto. Penso ai genitori, ai nonni: è vero che è difficile essere un buon genitore, un bravo nonno ma quanta gioia quando nella gratuità di gesti i bambini e i ragazzi sanno ritornare un amore grande, disarmante!
Chiediamo al Signore di essere tenaci nel nostro servizio, anche quando non ci torna niente. Impariamo da lui, mite e umile di cuore. Chiediamo di avere l’umiltà di scegliere di stare alla sua scuola per scoprire che donare la vita è l’unico modo che abbiamo per renderla straordinaria. Preghiamo in modo singolare oggi per don Andrea che inizia ufficialmente il suo ministero diaconale, di servo, in mezzo a noi: perché sia sempre lieto, coraggioso e fedele. Così aiuterà ciascuno di noi, in particolare i nostri ragazzi, a scoprire il volto buono di Gesù e a cercare di rispondere anch’essi alla loro vocazione, quella che li rende pienamente felici.

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