19 novembre 2017 - II di Avvento
Possiamo decidere che questa parola non sia per noi, possiamo dirci che non abbiamo bisogno di una conversione, possiamo dirci che queste parole le abbiamo già ascoltate tante volte. Possiamo dirci che questa parola non è per noi, perché la conversione - così come la intendiamo spesso - è un cambiamento radicale di vita: da un comportamento sbagliato a uno giusto, oppure da una sequela, da un’esperienza religiosa a un’altra.
In realtà possiamo anche considerare che questa parola sia per noi, intuendo come la parola conversione non sia solamente un cambiamento radicale ma un atteggiamento costante del cuore, un cercare di porre il centro della propria vita sempre su Gesù. Convertire, far convergere la propria vita verso quel centro che ha la pretesa di essere capace di dare senso a tutta la vita.
Giovanni si presenta in modo strano, è un profeta ma non predica nel tempio, nella città ma nel deserto che è il luogo della fatica di vivere (per quarant’anni Israele vaga in un deserto e fa fatica) ma anche il luogo dell’intimità, dell’incontro con Dio, il luogo dove si fa esperienza della presenza di Dio. Giovanni ha imparato che Dio lo si incontra così: nell’intimità di un luogo duro che fa in modo, però, che la parola sia custodita in modo così prezioso da diventare un tesoro non solo per sé ma anche per gli altri. Giovanni grida la sua proposta, è coraggioso perché quella parola che annuncia a tutti non è la ripetizione stanca di qualcosa che si è sentito e che si deve dire ma è il frutto della propria esperienza: «convertitevi, il regno dei cieli è vicino». Parole che ci ricordano immediatamente quello che Gesù dirà da lì a poco: «convertitevi e credete al Vangelo perché il regno di Dio è in mezzo a voi».
La conversione è una questione seria, non riguarda in particolare coloro che devono cambiare qualcosa di grande nella loro vita o la propria esperienza di fede. Riguarda anche noi, noi tutti che siamo chiamati a compiere - come dice Giovanni, - frutti di conversione.
Il tempo dell’Avvento ci è donato per arrivare al Natale e dire, almeno noi, che il Natale non può coincidere con un calendario dell’Avvento dove al posto della Natività c’è un ovetto di cioccolato. Per noi il tempo è abitato da Dio e lo custodiamo con cura non perché abbiamo paura che Lui arrivi e ci trovi impreparati o ci giudichi secondo le opere e trovandoci mancanti, ma perché desideriamo che il nostro tempo sia risposta a quell’invito che Giovanni fa con forza e che ci ricorda innanzitutto che noi, prima di qualsiasi altra cosa, siamo di Dio figli, siamo i figli del Regno, abbiamo una dignità che nessuno può cancellare, neppure noi con il nostro peccato. Compiere frutti di conversione allora non è obbedire a un precetto, a un comandamento, non è dover fare delle cose perché si devono fare ma è aver fatto un’esperienza: io faccio esperienza che essere cristiano è una realtà buona e per questo decido che la mia vita sia sempre un cammino di conversione. Le strade perché questo cammino avvenga sono sempre le stesse ma poiché noi cambiamo possiamo metterci in gioco, possiamo mettere la nostra vita in un atteggiamento che ci aiuti nella quotidianità a dire che noi siamo veramente figli di Dio.
Innanzitutto la preghiera personale, come Giovanni ha vissuto a lungo, è l’intimità del rapporto con Dio che dà qualità al nostro essere di Cristo. Si può annunciare quello che si è custodito nel cuore, l’unica strada è il silenzio della preghiera, una preghiera che non può essere legata a dei ritagli di tempo; è necessario decidere un tempo per la preghiera (magari anche breve) ma che sia il nostro tempo. Magari un tempo anche attraversato da tante distrazioni ma deve essere il tempo che io dono a Dio. L’intimità del rapporto con Lui fa crescere in me il desiderio di essere come Lui. Poi la preghiera comunitaria, quella che viviamo nelle nostre famiglie. Noi cristiani dobbiamo saper ridire la forza di una preghiera comune. Ci sono tante famiglie ancora, soprattutto tante persone sole, che pregano il Rosario guidate dall’uso della tv, della radio… Dobbiamo custodire anche la preghiera prima dei pasti perché non ricordare che, certo quel cibo è frutto del nostro lavoro, noi possiamo rendere grazia di quel cibo che ci permette di vivere una vita secondo il Vangelo, avendo anche l’umiltà di riconoscere che ci sono persone che lavorano tanto ma non hanno il cibo. Poi la Messa come cuore della nostra settimana. Qui tutti siamo protagonisti, in particolare nelle preghiere che condividiamo tutti insieme, nelle risposte: nella misura in cui le viviamo partecipando, pensando a quello che diciamo facciamo in modo che le nostre Celebrazioni siano luogo dove si incontra Dio. È davvero opera di Dio la Celebrazione Eucaristica perché è il tempo che io lascio a Lui perché mi parli come Lui vuole affinchè mi mostri i suoi gesti e così io imparando da Lui sia poi capace di viverli. E poi la Parola di Dio: siamo immersi in tantissime parole ogni giorno. Il coraggio di prendere in mano la Parola, di leggere il Vangelo sapendo che questa lettura costante e continua mi permetterà di entrare a conoscere quello che il Signore dice anche in quelle pagine, anche in quei testi che mi sembrano così dure, anche in quelli che mi sembrano così noti da non aver nulla da dire. Invece, la Parola è lampada ai miei passi, guida al cammino. Il coraggio di trovare il tempo per ascoltare il Vangelo, per leggere la Parola di Dio ogni giorno… gli strumenti sono tantissimi. Lasciamo che la Parola di Dio abiti le nostre case, i nostri cuori. Infine la carità. Veniamo tutti da un’esperienza straordinaria di un popolo di Dio che aveva un senso grande della Provvidenza, pertanto la condivisione e la solidarietà erano stili di vita. Viviamo un tempo in cui il sospetto, l’egoismo, ci ha fatto dimenticare la Provvidenza come stile di vita e come modo in cui Dio entra nella nostra vita. Il sospetto che ci viene anche da tante notizie che riceviamo attraverso la stampa, la tv che spesso mettono in dubbio che si possa vivere la carità gratuitamente, che ci sia sempre qualcosa dietro, la richiesta di un contributo o di un aiuto economico. Dobbiamo riprendere in mano questa grande storia della Provvidenza di Dio e viverla da protagonisti perché la Provvidenza è il suggerimento che Dio dà agli uomini di essere operosi nella carità ed è quella carità che gli uomini compiono che è benedetta da Dio. Scegliamo allora un gesto concreto di carità. Arriveremo a Natale certamente carichi delle nostre fatiche, sapendo che la vita è anche confronto con la malattia, con la sofferenza, con l’ingiustizia, con l’incomprensione, con la morte ma ci renderemo consapevoli che il frutto della conversione ci ricorda che noi siamo Figli di Dio e siamo chiamati a vivere un’esperienza di vita beata già ora e che noi possiamo essere testimoni di questa gratitudine nei confronti di chi incontriamo. Solamente quando avremo coscienza che essere cristiani è una benedizione avremo anche il coraggio di dire a tutti con forza che la conversione del cuore è l’unica via per poter entrare in quell’intimità con Dio che dà senso ad ogni cosa.
In realtà possiamo anche considerare che questa parola sia per noi, intuendo come la parola conversione non sia solamente un cambiamento radicale ma un atteggiamento costante del cuore, un cercare di porre il centro della propria vita sempre su Gesù. Convertire, far convergere la propria vita verso quel centro che ha la pretesa di essere capace di dare senso a tutta la vita.
Giovanni si presenta in modo strano, è un profeta ma non predica nel tempio, nella città ma nel deserto che è il luogo della fatica di vivere (per quarant’anni Israele vaga in un deserto e fa fatica) ma anche il luogo dell’intimità, dell’incontro con Dio, il luogo dove si fa esperienza della presenza di Dio. Giovanni ha imparato che Dio lo si incontra così: nell’intimità di un luogo duro che fa in modo, però, che la parola sia custodita in modo così prezioso da diventare un tesoro non solo per sé ma anche per gli altri. Giovanni grida la sua proposta, è coraggioso perché quella parola che annuncia a tutti non è la ripetizione stanca di qualcosa che si è sentito e che si deve dire ma è il frutto della propria esperienza: «convertitevi, il regno dei cieli è vicino». Parole che ci ricordano immediatamente quello che Gesù dirà da lì a poco: «convertitevi e credete al Vangelo perché il regno di Dio è in mezzo a voi».
La conversione è una questione seria, non riguarda in particolare coloro che devono cambiare qualcosa di grande nella loro vita o la propria esperienza di fede. Riguarda anche noi, noi tutti che siamo chiamati a compiere - come dice Giovanni, - frutti di conversione.
Il tempo dell’Avvento ci è donato per arrivare al Natale e dire, almeno noi, che il Natale non può coincidere con un calendario dell’Avvento dove al posto della Natività c’è un ovetto di cioccolato. Per noi il tempo è abitato da Dio e lo custodiamo con cura non perché abbiamo paura che Lui arrivi e ci trovi impreparati o ci giudichi secondo le opere e trovandoci mancanti, ma perché desideriamo che il nostro tempo sia risposta a quell’invito che Giovanni fa con forza e che ci ricorda innanzitutto che noi, prima di qualsiasi altra cosa, siamo di Dio figli, siamo i figli del Regno, abbiamo una dignità che nessuno può cancellare, neppure noi con il nostro peccato. Compiere frutti di conversione allora non è obbedire a un precetto, a un comandamento, non è dover fare delle cose perché si devono fare ma è aver fatto un’esperienza: io faccio esperienza che essere cristiano è una realtà buona e per questo decido che la mia vita sia sempre un cammino di conversione. Le strade perché questo cammino avvenga sono sempre le stesse ma poiché noi cambiamo possiamo metterci in gioco, possiamo mettere la nostra vita in un atteggiamento che ci aiuti nella quotidianità a dire che noi siamo veramente figli di Dio.
Innanzitutto la preghiera personale, come Giovanni ha vissuto a lungo, è l’intimità del rapporto con Dio che dà qualità al nostro essere di Cristo. Si può annunciare quello che si è custodito nel cuore, l’unica strada è il silenzio della preghiera, una preghiera che non può essere legata a dei ritagli di tempo; è necessario decidere un tempo per la preghiera (magari anche breve) ma che sia il nostro tempo. Magari un tempo anche attraversato da tante distrazioni ma deve essere il tempo che io dono a Dio. L’intimità del rapporto con Lui fa crescere in me il desiderio di essere come Lui. Poi la preghiera comunitaria, quella che viviamo nelle nostre famiglie. Noi cristiani dobbiamo saper ridire la forza di una preghiera comune. Ci sono tante famiglie ancora, soprattutto tante persone sole, che pregano il Rosario guidate dall’uso della tv, della radio… Dobbiamo custodire anche la preghiera prima dei pasti perché non ricordare che, certo quel cibo è frutto del nostro lavoro, noi possiamo rendere grazia di quel cibo che ci permette di vivere una vita secondo il Vangelo, avendo anche l’umiltà di riconoscere che ci sono persone che lavorano tanto ma non hanno il cibo. Poi la Messa come cuore della nostra settimana. Qui tutti siamo protagonisti, in particolare nelle preghiere che condividiamo tutti insieme, nelle risposte: nella misura in cui le viviamo partecipando, pensando a quello che diciamo facciamo in modo che le nostre Celebrazioni siano luogo dove si incontra Dio. È davvero opera di Dio la Celebrazione Eucaristica perché è il tempo che io lascio a Lui perché mi parli come Lui vuole affinchè mi mostri i suoi gesti e così io imparando da Lui sia poi capace di viverli. E poi la Parola di Dio: siamo immersi in tantissime parole ogni giorno. Il coraggio di prendere in mano la Parola, di leggere il Vangelo sapendo che questa lettura costante e continua mi permetterà di entrare a conoscere quello che il Signore dice anche in quelle pagine, anche in quei testi che mi sembrano così dure, anche in quelli che mi sembrano così noti da non aver nulla da dire. Invece, la Parola è lampada ai miei passi, guida al cammino. Il coraggio di trovare il tempo per ascoltare il Vangelo, per leggere la Parola di Dio ogni giorno… gli strumenti sono tantissimi. Lasciamo che la Parola di Dio abiti le nostre case, i nostri cuori. Infine la carità. Veniamo tutti da un’esperienza straordinaria di un popolo di Dio che aveva un senso grande della Provvidenza, pertanto la condivisione e la solidarietà erano stili di vita. Viviamo un tempo in cui il sospetto, l’egoismo, ci ha fatto dimenticare la Provvidenza come stile di vita e come modo in cui Dio entra nella nostra vita. Il sospetto che ci viene anche da tante notizie che riceviamo attraverso la stampa, la tv che spesso mettono in dubbio che si possa vivere la carità gratuitamente, che ci sia sempre qualcosa dietro, la richiesta di un contributo o di un aiuto economico. Dobbiamo riprendere in mano questa grande storia della Provvidenza di Dio e viverla da protagonisti perché la Provvidenza è il suggerimento che Dio dà agli uomini di essere operosi nella carità ed è quella carità che gli uomini compiono che è benedetta da Dio. Scegliamo allora un gesto concreto di carità. Arriveremo a Natale certamente carichi delle nostre fatiche, sapendo che la vita è anche confronto con la malattia, con la sofferenza, con l’ingiustizia, con l’incomprensione, con la morte ma ci renderemo consapevoli che il frutto della conversione ci ricorda che noi siamo Figli di Dio e siamo chiamati a vivere un’esperienza di vita beata già ora e che noi possiamo essere testimoni di questa gratitudine nei confronti di chi incontriamo. Solamente quando avremo coscienza che essere cristiani è una benedizione avremo anche il coraggio di dire a tutti con forza che la conversione del cuore è l’unica via per poter entrare in quell’intimità con Dio che dà senso ad ogni cosa.
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