21 gennaio 2018 - III dopo l'Epifania



Una nuova manifestazione del Signore Gesù ci è consegnata e prosegue quel cammino iniziato nel Natale quando Dio si è fatto vicino a noi, assumendo la nostra umanità, rivelandola a tutte le genti rappresentate dai Magi venuti da Oriente. Quella manifestazione di Dio che nel giorno del Battesimo diventa una parola di conferma, una parola di compiacimento. E poi la festa delle nozze di Cana e quell’intervento con il segno della moltiplicazione, della trasformazione dell’acqua in vino a dire che il Signore è in mezzo a noi perché noi possiamo vivere la gioia quotidiana dell’incontro con lui nelle relazioni che ogni giorno sappiamo costruire.
Oggi il segno è questo pane che diventa per tutti, questa condivisione che nasce da uno  sguardo colmo di compassione, un atteggiamento che non assomiglia alla pietà che anche noi proviamo in alcuni momenti: penso a quei momenti in cui durante i pranzi se la televisione è accesa compaiono delle immagini di bambini sofferenti o affamati e l’invito a dare un contributo per il loro sostentamento, e noi sentiamo pietà e reale commozione poi tutto finisce e torniamo alla nostra quotidianità dicendo non possiamo certo aiutare tutti, cosa posso fare io per tutta questa realtà che fatica così tanto a vivere? La compassione di Gesù verso la folla innanzitutto si declina attraverso delle modalità concrete: la prima è la Parola, parlare del regno di Dio, il credere che la Parola, il Vangelo, ha la forza di sanare il cuore. Il primo invito che sento per me è questo: affidati al Vangelo, credi di più nella forza della Parola. Spesso ho come l’impressione che io per primo non trovi mai il tempo per fermarmi da ascoltare, così preso dalle cose da fare, così affascinato da altre parole che però non sono di Gesù, non sono di Dio. Poi Gesù compie quel segno che accompagna tutta la sua storia, guarire i malati, tanto che spesso l’accostarsi a lui da parte di coloro che lo incontravano era il desiderio di avere questa guarigione come dono, mossi certo dalla fede ma a volte anche da un certo opportunismo. Gesù trasforma la sua compassione in uno sguardo che è su un bisogno quotidiano, quello del cibo, e chiede ai suoi discepoli di diventare collaboratori di questo sguardo di compassione ma loro, che sono persone pratiche, dicono “mandali a casa, non abbiamo niente da dare!”. Un po’ come noi che diciamo ma come possiamo fare? Ci penserà qualcun altro. Gesù invece ci insegna una strada. Innanzitutto che bisogna guardare con occhi diversi i bisogni degli altri, perché quegli uomini non erano migliori di noi, non seguivano Gesù perché avevano capito che fosse il Messia, non volevano certamente tutti diventare suoi discepoli anche perché ai piedi della croce poi non ci sarà nessuno di quei cinquemila uomini. Questi uomini e queste donne ricevono su di loro lo sguardo colmo di amore gratuito. Gesù poi dice quel poco che abbiamo mettiamo al centro della nostra preghiera, della benedizione e facciamolo diventare pane per tutti e chiede ai discepoli di essere protagonisti di un gesto semplice: prendere e portare, di essere loro a portare quel cibo a chi è affamato. Così, se la compassione è vedere il bisogno dell’altro e farlo diventare proprio, condividere quel poco che si ha, il donare la vita è segno di aver compreso che questa compassione innanzitutto è sulla mia esistenza, è sempre uno sguardo buono su di me, uno sguardo colmo di tenerezza e di misericordia. Il dono poi è sempre sovrabbondante e nella misura in cui noi ci affidiamo veramente al Signore scopriamo che alla fine della festa lui trasforma l’acqua in vino, ma non poco, tantissimi litri in esagerazione. Così anche oggi sentiamo “tutti mangiarono a sazietà” e avanzarono dodici ceste. Dodici come le tribù d’Israele, quindi tutti perché tutti possono partecipare della compassione del Signore. Dodici come i mesi dell’anno per dire che quel cibo, la sua stessa vita, è per tutti i giorni e non è come la manna, un cibo che alla fine nausea, ma è il cibo della vita, è il pane del cielo, quel cibo che noi possiamo assumere perché la nostra vita sia sempre di più di Cristo - cristiana -. Per questo veniamo all’Eucaristia. In qualsiasi situazione possiamo essere il Signore ci guarda con compassione, dove questa parola dice tutta la partecipazione del suo cuore alla nostra esistenza. Nella misura in cui noi ci affidiamo alla sua Parola, sappiamo condividere la quotidianità della vita insieme ad altri, ogni volta che sappiamo donare il meglio di noi stessi in quei segni noi ridiciamo la presenza di Gesù e lo faremo con il suo stesso stile, quello di chi si dona a tutti senza distinzioni, perché il cuore di Dio è colmo di un amore che è senza misura. Ci doni il Signore di essere così: uomini e donne che si fidano di lui, che non rimandano impegni che possono e cercano di imitare il suo stesso dono d’amore. 

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