8 aprile 2018 - II dopo Pasqua


Gesù viene. Viene sempre, continuamente, con una tenacia e una costanza che noi non possiamo neanche immaginare. Viene e spesso trova le porte chiuse ma non si arrende, continua a stare lì, ad aspettare che un piccolo varco nel nostro cuore si apra per farci sentire che Lui è venuto perchè il suo cuore è pieno di trepidazione per Maria e per il suo pianto; per le donne che corrono al sepolcro per prendersi cura del suo corpo; per i discepoli di Emmaus che vagano smarriti, senza sapere cosa fare; per Tommaso, con i suoi dubbi e le sue fatiche a credere; infine per loro che ritroverà incapaci persino di fare quello che avevano sempre fatto, pescare. Gesù viene non per parlare di sé ma per incontrare ciascuno di noi, come allora ciascuno di quegli uomini che lo avevano abbandonato, tradito: lui li va a cercare per dire la parola che racchiude tutti i doni del Messia «pace!». Una parola che conosciamo bene - shalom - che non è unicamente l’assenza di conflitti, la cessazione delle guerre ma rivela come l’uomo di Dio, pur nelle avversità, riesce a porre tutto il bene di cui è capace; anche davanti all’ingiustizia, alla violenza mostra la serenità di chi non si sente abbandonato. La pace è di colui che spera costantemente che Dio verrà in suo aiuto. A quegli uomini dona la pace, come la dona a noi, come preghiamo in ogni Eucaristia quando facciamo memoria proprio di questo, quando ricordiamo che la pace è possibile unicamente in una comunione profonda con il Signore.
A quegli uomini imperfetti, paurosi, ancora incapaci di custodire il mistero della Risurrezione, Gesù dona lo Spirito Santo che era presente all’inizio di tutto, all’inizio della creazione aleggiava sulle acque; lo Spirito che è presente nel momento dell’Alleanza sul monte Oreb; è lo Spirito che Elia percepisce come una breccia leggere; è quella forza, quel fuoco che a Pentecoste inonderà il Cenacolo e la vita di quegli uomini. «Ricevete lo Spirito Santo e il perdono» perchè la comunione con Dio apre alla consapevolezza del perdono e nella misura in cui ricevo sono poi capace di offrire. Divina misericordia, così la chiamiamo in questi giorni, esperienza di un amore che è senza limiti, che si dona a Colui che è misero, che non può restituire questo dono del cuore, che è segnato da quelle ferite perchè il Signore risorto viene, trova le porte chiuse ma non si stanca di mostrare l’unico suo tesoro: quell’amore che lo porta a dare la vita, ad essere segnato per sempre nel corpo, con le ferite del legno della croce.
Poi Tommaso: non una parola di rimprovero, non una lamentela, semplicemente l’esortazione «metti qui la tua mano, non essere più incredulo ma credente» e lui non risponde che con una più belle professioni di fede che troviamo nella Scrittura, poche parole che possiamo far diventare nostre, ogni volta che facciamo la genuflessione e guardiamo verso il tabernacolo possiamo dire «mio Signore e mio Dio»; tutte le volte che il sacerdote ci presenta il Pane e il Vino, Corpo e Sangue di Cristo; tutte le volte che entriamo in Chiesa, tutte le volte che non sappiamo che cosa dire. «Mio Signore e mio Dio», l’espressione di una Fede che viene rinvigorita non tanto dal segno ma da questo atteggiamento di Dio che non si mette mai a giudicare, mai a condannare, mai ad allontanare ma sempre ad invitare. Mi domando quando il Signore troverà le porte aperte del mio cuore, quando non dovrà attendere pazientemente che un piccolo spiraglio si apra. Quando troverà le porte del nostro cuore così dischiuse per accogliere Lui che viene unicamente per dire “ti offro ancora in mio amore”?
Questa beatitudine poi ci riguarda perchè siamo coloro che di settimana in settimana, nel giorno del Signore si radunano in Chiesa per celebrare la Pasqua, per dire che crediamo anche se non l’abbiamo visto, che rinnoviamo la nostra adesione al Signore anche se non l’abbiamo toccato, anche se non abbiamo messo il dito o la mano perchè ci fidiamo. Ci fidiamo di un amore disarmante, ci fidiamo di Colui che è venuto per dirci che la pace nasce dal suo cuore, che si diffonde attraverso i nostri cuori, che lo Spirito ci abita non per i nostri meriti ma unicamente per la grazia del suo amore e questo Spirito ci spinge. Non è importante avere titoli di studio perché anche Pietro e Giovanni erano semplici e senza istruzione eppure stavano di fronte a tutti dicendo unicamente quello che avevano sperimentato «Il Signore è risorto!».
Che sia questa anche la nostra testimonianza: con franchezza, semplicità e, pur nella fatica, di profondo abbandono. Il Signore stesso continuerà a venire, anche quando troverà le porte chiuse e aspetterà pazientemente di potervi entrare per dirci ancora una volta «Sia pace nel tuo cuore. Lo Spirito Santo ti accompagni. Non essere più incredulo ma credente». In quel giorno queste parole «mio Signore e mio Dio» riempiranno il nostro cuore di una profondissima gioia.

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