22 luglio 2018 - IX dopo Pentecoste

Tutti noi abbiamo nella mente qualche immagine riferita al re Davide, per lo meno per quel racconto che abbiamo ascoltato spesso di lui che affronta con pochi mezzi in grande guerriero Golia e lo abbatte perchè dice “io vengo con la forza del Signore”. Proprio questa consapevolezza rende Davide molto umile davanti a Dio e per questo, quando introduce l’arca, la presenza di Dio a Gerusalemme, lo fa spogliandosi e danzando, non avendo paura del giudizio di alcuno, riconoscendo che quello che ha ricevuto è solo dono di Dio e a lui solo deve piacere. Così la festa, che mostra anche la magnanimità di Davide - che dà a ciascun presente cibo in abbondanza, non è guastata dall’intervento duro, severo, ingiusto di Mical. Davide le ricorda proprio questo, che unicamente affidandosi al Signore, diversamente da come aveva fatto Saul, è possibile vivere pienamente la propria vita. L’espressione dell’umiltà come madre di ogni virtù ci è poi fatta esempio attraverso le parole di Paolo e del Vangelo. Paolo che ci ricorda che il tesoro che abbiamo ricevuto, cioè l’essere figli di Dio, è custodito in un vaso di creta dove la nostra fragilità non è perchè Dio vuole tenerci lontani da lui ma perché riconosce che diverso è il Creatore dalla creatura e che unicamente nell’affidarsi a colui che è l’origine della vita è possibile che la propria fragilità non sia una condanna ma la condizione dove fare continuamente esperienza della misericordia di un amore che è senza confini. Così Paolo ci ricorda che non c’è nessun vanto nell’apostolo del Signore se non quello di piacere a Lui perchè Dio sceglie ciò che nel mondo è piccolo, debole per confondere coloro che si sentono forti e potenti. La grazia di Dio è prima di ogni cosa. Paolo lo sa bene perché nelle sue lettere dice «ti basta la mia grazia, sono io che nella tua debolezza ti rendo forte». È questa la caratteristica dell’apostolo del Signore: non avere la pretesa di convertire nessuno se non quella di esporre ogni giorno la propria vita alla conversione, ricordando quello che il cardinal Martini ci ha detto tante volte cioè che la testimonianza non passa attraverso l’imposizione delle proprie idee, neppure della propria fede, ma attraverso la persuasione, la discrezione, attraverso il mostrare che c’è verità in quello che facciamo, che c’è coerenza, autenticità tra quello che crediamo e diciamo di credere e quello che facciamo. OCsì, essere oggi discepoli del Signore significa certo prendere su di noi la croce, che non significa leggere tutte le difficoltà che abbiamo come croci che Dio ci impone per metterci alla prova, ma nel ricordarci che essere discepoli del Signore significa fare come lui, lottare contro ogni forma di male, il male che è in noi e il male che è intorno a noi. Questo essere discepoli del Signore ci rende necessariamente testimoni e ci chiede continuamente, costantemente di verificare, di fare verità del nostro cammino di fede; ci chiede di vedere se realmente noi abbiamo scelto di essere suoi discepoli. Oggi noi, che abbiamo scelto di essere qui a questa Eucaristia, abbiamo certamente l’invito, il mandato di avere cura profondamente della nostra fede perché non si tratta di metterci a contare quanti siamo, di lamentarci di coloro che non ci sono ma unicamente di desiderare che chi ci incontra possa porsi una domanda vera sulla vita e possa domandarsi se davvero il Signore Gesù non può esser risposta alle domande autentiche del cuore. D’altra parte, l’evangelizzazione, cioè far conoscere Gesù, e il suo Vangelo, è passata attraverso la testimonianza di uomini e donne come noi, fragilissimi eppure capaci di dire una parola che ha lasciato un segno nella storia, nella storia del loro tempo e anche nella nostra. Che il Signore ci doni la grazia dell’umiltà, questa virtù che è madre di ogni altra virtù, perchè davvero l’unico nostro vanto sia dire a tutti “io sono figlio di Dio, ne sono profondamente lieto e pur nella mia fragilità cerco di rispondere a questo privilegio offrendo tutta la mia vita”. Il Signore saprà con la sua grazia aiutarci a comprendere quali strade compiere perchè a volte il discepolo del Signore sa che nell’obbedienza al Signore può anche rinunciare alle sue inclinazioni più grandi, alle sue aspirazioni più forti, alle sue capacità, quelle che gli danno sicurezza, che lo caratterizzano perchè anche in quel dono si riveli l’opera di Dio che non dimentica mai di fare grandi coloro che umilmente si affidano a lui. Così Maria ci insegna e così noi contempliamo nella sua vita. Il Signore ci accompagni in questo cammino e ci renda persuasi che ciascuno di noi è portatore del Vangelo, è missionario del vangelo là dove vive, con le persone che incontra, nelle condizioni che la vita consegna. Allora saremo lieti di dire a tutti senza imporre nulla ma con la gioia della certezza della fede che noi siamo lieti di essere di Dio figli.

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