Domenica 17 novembre 2019 - I d'Avvento


“Non sempre le parole del Vangelo sono così incoraggianti”: così oggi uno potrebbe pensare dopo aver ascoltato queste parole e, siccome siamo all’inizio di un anno liturgico uno può dire “beh, iniziamo proprio bene, insomma, se questa è la prospettiva”. Noi viviamo un tempo, quello dell’Avvento, che non è uno spazio di giorni che si esaurisce a Natale e ci dimentichiamo che la vita è di per sé un’attesa. In ogni istante attendiamo qualcosa, piccola o grande che sia viviamo di attesa, e ogni volta che questa attesa diventa esagerata o diventa una pretesa viviamo male, ma se invece sappiamo vivere l’attesa come dimensione costante, quotidiana della nostra vita, viviamo costantemente protesi verso qualcosa, Qualcuno, verso un compimento. È quello che ci viene offerto nel tempo dell’Avvento nella Liturgia, ricordandoci che noi attendiamo la venuta di Gesù alla fine della storia; di quel Gesù che abbiamo contemplato domenica scorsa come Signore dell’universo, come giudice dell’universo. Ma, ne siamo certi, questo non avverrà entro i 40 giorni. Vuol dire che l’attesa della venuta del Signore è un’attesa ancora lunga e sappiamo che attendere ci pesa sempre - proviamo a pensare a quando siamo in fila al supermercato e davanti abbiamo una persona anziana che mette una cosa alla volta sul nastro e pensiamo “beh, ma proprio adesso doveva venire?”, oppure andiamo in posta, siamo in fila e la signora che c’è davanti non si capisce con l’addetto e il tempo passa e tu dici “vabbé”; oppure quando ci troviamo in colonna in auto e  dici “proprio oggi devono uscire, proprio tutti oggi”… Attendere ci dà fastidio perché ci fa perdere tempo; in realtà, tutta la vita è un’attesa. Dipende dalla qualità di questo nostro attendere, da come attendiamo. Se lo facciamo subendo tutto come un’ingiustizia, come qualcosa contro di noi, o se invece viviamo questa attesa come il mio mettere tutto ciò di cui sono capace per giungere a una meta.
L’attesa chiede due attenzioni: l’impegno e la pazienza. L’impegno costa fatica, e la pazienza costa inevitabilmente un po’ di sofferenza. Per questo non ci piace tanto attendere, e vorremmo tutto in fretta. D’altra parte, viviamo in questo tempo in cui tutto è in fretta, tutto deve essere veloce, immediato, e abbiamo dimenticato che per ottenere qualcosa di importante bisogna prepararlo, appunto attendere. Abbiamo dimenticato che i preparativi non sono una perdita di tempo, non sono un corollario all’evento, ma sono condizione necessaria perché quell’evento sia buono.
Allora questo tempo di Avvento ci è dato certamente per preparare il Natale ma soprattutto per ricordarci che il Signore viene. Viene ogni giorno. Non solo a Natale. Questo tempo ci ricorda proprio che il Signore viene. Poi verrà alla fine della storia, ma noi saremo capaci di accoglierlo - la fine della storia per noi appunto se non sarà questo compimento finale che probabilmente non vivremo, sarà il momento in cui lasceremo questa vita - ecco, se avremo vissuto nell’attesa quel momento arriverà, e sarà un passaggio, una pasqua. Perché c’è un legame profondo, all’interno dell’anno liturgico, tra quelle proposte che ci vengono suggerite dal Vangelo. 
L’attesa del Natale ci invita a guardare già alla Pasqua, d’altra parte in ogni domenica noi celebriamo l’Eucaristia, la Pasqua del Signore, in ogni domenica attendiamo la sua venuta, in ogni istante attendiamo che qualcosa di bello accada nella nostra vita, e in questo modo di vivere sappiamo anche stare di fronte a quello che invece non è buono. Noi siamo qui per dire al Signore che crediamo che Dio sostiene quelli che sono nella prova. Dio sostiene quelli che sono nella prova. Perché io abbia coscienza di questo, ogni giorno questo Signore devo conoscerlo, attenderlo, viverlo, incontrarlo. Così il tempo dell’Avvento è un suggerimento a vivere ogni giorno la ricerca dell’incontro col Signore, perché intorno a noi - lo diciamo tutti, più o meno, in qualche modo - sembra che tutto vada a rotoli. Anche questo monito “a motivo della violenza, della sofferenza l’amore verrà meno, la fede verrà meno”, così ogni giorno commentiamo anche noi che tutto è cambiato, che tutto è diverso, che nel giro di breve tempo le realtà mutano in fretta, e ci lamentiamo per il fatto che i matrimoni non durano e sono troppo pochi, che i presbiteri sono troppo pochi e nessuno va più a fare il prete, e ci lamentiamo degli scandali che puntualmente vanno a sottolineare quell’aspetto di limite e di fragilità che gli uomini hanno e, in fondo, se così tanto ne parliamo è perché tanto tempo gli dedichiamo e così quelli che hanno a cuore questo hanno motivo per continuare, continuare, continuare a parlare degli scandali, dimenticandosi che in mezzo a tutto questo ci sono uomini e donne che invece cercano ogni giorno di attendere alla propria vita, e lo fanno con dedizione, con impegno e pazienza, con amore e fede. E noi di questo dovremmo parlare e a questo dovremmo ambire, questo dovremmo desiderare. Non per nascondere ciò che è negativo ma per poterlo affrontare e vincere, evitare.
Il tempo dell’Avvento vorrei che fosse per me non solo attesa del Natale ma vorrei che diventasse l’occasione rinnovata, ancora una volta, per vivere la mia vita con intensità, mettendo in tutto quello che faccio tutto il meglio di me. Anche se accanto a me c’è qualcuno che non lo fa, anche se sento di quelli che imbrogliano, quelli che rubano, quelli che non si comportano bene, quelli che sono furbi. Voglio che la mia vita non sia così. Perché la parola salvezza deve voler dire qualche cosa, e non è una preoccupazione del dire “andrò all’inferno o meno”, ma è dire che la mia vita può essere sempre tenuta insieme, salva, anche quando è frantumata dal peccato, dalle incoerenze è sempre tenuta insieme dalla grazia e dall’amore di Dio. Questa salvezza io desidero, e chiedo al Signore che venga a portarmela, a Natale e tutti i giorni, in ogni momento in cui mi ricordo che la mia vita è un dono, e che il mio compito è quello di viverla in pienezza.
Allora vi chiedo di avere l’umiltà di guardare all’anno che abbiamo passato, all’anno liturgico che è terminato ieri, per ringraziare per tutto quello che abbiamo ricevuto: episodi, persone, parole, e farlo diventare il terreno fertile su cui costruire una nuova regola di vita per questo tempo di Avvento. Pensando di trovare il tempo per Dio, un piccolo spazio ogni giorno, la domenica la Messa, e poi trovare un tempo per gli altri, vivere bene quello che già facciamo, il nostro lavoro, le nostre mansioni in casa, il nostro studio, farlo bene e avere a cuore che sia fatto bene, prima di tutto. E poi un tempo per noi stessi: vi suggerisco di fare qualche minuto di silenzio ogni giorno per ascoltare quello che c’è nel cuore perché Dio parla al cuore di ciascuno, di ciascuno di noi e di tutti.

Un pensiero anche a tutti voi, che oggi siete qui per vivere questo tradizionale momento della patrona Virgo Fidelis. Anche in questi giorni abbiamo ricordato coloro che chiamiamo i martiri di Nassirya e in questi giorni altri uomini in uniforme hanno dato la vita a difesa dei più deboli, dei più piccoli. Spesso anche qui si sottolinea l’errore, quello che non è fatto bene, quello che crea scandalo, come se in fondo ci dimenticassimo che, essendo uomini, portiamo dentro di noi le fragilità e i limiti. Vorremmo certo che tutto fosse perfetto, quando riguarda gli altri. Oggi però vogliamo dire grazie, grazie per coloro che vivono l’impegno del servizio in arma, in particolare oggi pensiamo ai carabinieri, e lo fanno bene, e abbiamo il compito di insegnare maggiormente il rispetto, non per la divisa ma per l’uomo e la donna che la portano. Il rispetto per le persone che non valgono perché hanno una divisa, una fascia tricolore, valgono perché sono persone. Se insegniamo questo anche ai nostri bambini, non avremo paura mai di chi porta la divisa, lo sentiremo sempre vicino, alleato. Vi invito, allora, a fare un piccolo esercizio di memoria pensando a tutte le volte che abbiamo avuto un beneficio da un carabiniere, da una persona in uniforme, un aiuto, una parola buona, un incoraggiamento, un suggerimento, e se possiamo diciamo grazie, facciamolo sapere, perché chi ha un compito anche gravoso ha bisogno di sentire la stima e il rispetto non per la divisa ma perché è un uomo, è una donna che vive il suo servizio bene. Allora credo che abbia senso vivere questo momento insieme. Credo che abbia importanza vivere la  memoria della Patrona che ci indica, che vi indica la via della fedeltà, anche quando costa, anche quando sembra non ci sia un ritorno dell’impegno, anche quando sembra che sia inutile lavorare bene a difesa dei più piccoli e dei più deboli.

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